Aprendo la settimana dell'elezione del nuovo presidente della Repubblica, il sindaco di Firenze Matteo Renzi cerca di dare il suo passo al dibattito politico e boccia due candidati del Pd al Colle: Franco Marini e Anna Finocchiaro.

In una lettera a Repubblica, Renzi argomenta contro la scelta di Marini, ex presidente del Senato, proveniente dalla costola del Pd che ha radici nella Democrazia cristiana, dicendo che "è gravissimo e strumentale il desiderio di poggiare sulla fede religiosa le ragioni di una candidatura a custode della Costituzione".

Renzi ripropone uno degli argomenti che più gli hanno dato popolarità negli ultimi mesi, la "rottamazione" dei vecchi parlamentari del centrosinistra assimilati alla "casta", dopo avere polemizzato duramente nel fine settimana con il segretario del suo partito Pier Luigi Bersani per la sua stategia che non avrebbe consentito di dare all'Italia un governo ad oltre 50 giorni dalle elezioni politiche.

"Due mesi fa Marini si è candidato al Senato dopo avere chiesto (e ahime ottenuto) l'ennesima deroga allo statuto del Pd. Ma clamorosamente non è stato eletto. Difficile a mio avviso, giustificare un ripescaggio di lusso, chiamando a garante dell'unità nazionale un signore appena bocciato dai cittadini d'Abruzzo".

Non più tardi di ieri sera Renzi aveva attaccato anche Anna Finocchiaro, ricordando le foto della sua spesa all'Ikea con la scorta e per questo poco adatta a far passare un messaggio anti casta, dopo il successo dei grillini alle politiche.

I nomi finora più accreditati dagli analisti politici come successore di Giorgio Napolitano sono ora quelli di Giuliano Amato e Romano Prodi. L'elezione del primo, ritenuto accettabile dal centrodestra, sarebbe funzionale ad un'intesa tra Pd e Silvio Berlusconi su un futuro governo.

Ma l'accordo deve ancora essere siglato e la condizione posta da Berlusconi di riservare alcuni ministeri ad esponenti di spicco del suo partito in un governo di larghe intese non è stata finora accettata da Bersani.

L'elezione di Prodi - inviso al centrodestra - con i voti del centrosinistra e possibilmente di una parte del M5s, renderebbe, secondo questa analisi, più probabile il ritorno alle urne entro l'estate.

Ma l'elezione del presidente della Repubblica si svolge a scrutinio segreto e tradizionalmente in questo voto si scaricano le tensioni presenti non solo tra i diversi blocchi, ma anche quelle interne ai partiti, il che rende difficile qualsiasi previsione sul suo esito.
Se Matteo Renzi prova a proporre una soluzione per far uscire l'Italia dal pantano diventa come Silvio Berlusconi. Anzi, coincide con il Cavaliere. Sono la stessa cosa. Stessa faccia, stessa (brutta) razza. Questo, in sintesi, il pensiero di molte anime del Partito Democratico. Il sindaco di Firenze ha ripetuto il suo appello: "Basta perdere tempo. Basta con le manfrine. O si fa un accordo con Silvio Berlusconi o si torna al voto". Di fatto con questa frase Renzi ha ufficializzato la sua "opa" sul Partito Democratico. Il segretario Pier Luigi Bersani è all'angolo. I fedelissimi dell'uomo che viene da Bettola si ribellano, lo difendono. Emblematico il cinguettio su Twitter diChiara Geloni, direttore della web-tv Youdem. "Serenamente e pacatamente - scrive -: non si può negare che al momento la proposta politica di Renzi coincida perfettamente con quella di Berlusconi". Cambiano le parole, ma non la sostanza nell'intervento di Stefano Di Traglia, responsabile della comunicazione dei democrat: "Renzi semplicemente propone la stessa ricetta di Berlusconi: un governissimo o elezioni". Per chiudere la rapida rassegna degli integralismi, d'obbligo la citazione di Roberto Seghetti: "Si può fare governo che cambi davvero - verga su Twitter omettendo gli articoli-. Renzi pensa di perdere sua occasione e vuole matrimonio con Cav? Si accomodi".

Le "colpe" di Matteo - Chi cerca di trovare una soluzione per dare un governo a questo Paese, chi lo fa dialogando con il leader della seconda coalizione in Parlamento (dietro per un pugno di voti), per il Partito democratico è un irresponsabile. Anzi, dal loro punto di vista è pure peggio: è come Berlusconi. Il ritornello, chi il rottamatore non lo può soffrire, lo ripete da anni. Il "pedigree" di Renzi è indelebilmente macchiato da quell'incontro con l'ex premier ad Arcore. Troppo, per i duri e puri di via del Nazareno. Troppo per chi è pronto a far naufragare il Paese pur di non parlare con gli azzurri. Troppo per chi si prodiga nel folle inseguimento ai "vaffanculo" di Beppe Grillo. Ma tant'è. La rivolta contro Renzi - la cui "colpa" è quella di attrarre gli "impresentabili" elettori del centrodestra - è iniziata. Il partito si spacca. Tra i critici, ovvio, anche Stefano Fassina, il responsabile economico del Pd, che ritiene irrispettoso parlare di politica perditempo: "Napolitano - spiega - ha cercato soluzioni e ha trovato difficoltà vere per fare un governo di cambiamento. Né Bersani, né gli altri leader dei partiti in Parlamento perdono tempo. Si creca una soluzione a un problema che non è fare un governo quale che sia, ma avere un governo di cambiamento all'altezza delle sfide che l'Italia ha davanti sul terreno della politica e dell'economia". Anche per Ignazio Marinol'accordo con il Pdl è inattuabile, indigeribile per la base del centrosinistra: "Le persone non capirebbero un'alleanza con il Pdl e con la Lega, che sono le stesse persone che hanno portato l'Italia sull'orlo del baratro".

"Fate presto" - Ma il quadro, nel Pd, non è di così semplice lettura. Non è delineato in modo così limpido. Il 'pensiero-democratico' non può essere ridotto a queste dichiarazioni. Nel partito, infatti, cresce la fronda di quelli che vogliono far fuori Bersani e consegnare chiavi e volante a Renzi (e lui infatti sta già lavorando per allargare il gruppo parlamentare di fedelissimi). La lotta è dura, la partita si gioca anche al Quirinale: se fallisse l'accordo su un "moderato" tra Bersani e Berlusconi potrebbe entrare in campo il rottamatore, forte del suo appoggio parlamentare (e dell'appoggio crescente nel partito). Potrebbe riuscire a trovare un nome spendibile e condiviso per il Colle (di fatto diventando il leader del Pd). La battaglia finale del rottamatore è iniziata. Lui lo sa, e tira dritto per la sua strada. Dopo le interviste, altre dichiarazioni: "Giorgio Napolitano è stato in questi sette anni un'assoluta certezza. Meno male che c'è stato. Dare la colpa della situazione al Capo dello Stato è una barzelletta. Ricorda quelli che quando vedono il traffico per la strada danno la colpa ai vigili". Altre badilate ai partiti, insomma. Poi Renzi continua a far schioccare le redini: "Fate presto. Le soluzioni tecniche, se si vuole, si trovano. Ma bisogna volerle e smettere di pensare ai destini dei leader politici". Un altro messaggio a Bersani. Un'altra pietra scagliata contro il segretario, sempre più debole, come dimostrano le grida di dolore dei fedelissimi.