«E adesso uccidetemi!». Giacca e cravatta, camicia bianca e un filo di barba, Luigi Preiti è sbucato davanti a Palazzo Chigi all’improvviso dopo una notte passata a ripetersi che bisognava fare assolutamente «qualcosa di grosso». Erano, minuto più minuto meno, le undici e trentacinque di ieri mattina, cielo senza nuvole, temperatura ventitrè gradi, giornata di primavera apparentemente perfetta. I ministri del nuovo Governo erano in arrivo dal Quirinale e piazza Colonna stava per essere chiusa con le transenne. Resosi conto di non aver più tempo e temendo di non poter bersagliare i politici, Preiti ha tirato fuori la pistola urlando - «Adesso ammazzatemi!» - e si è messo a sparare contro due dei tanti carabinieri di guardia nella zona. Sei proiettili calibro 7,65 contro l’unico simbolo del potere che in quel momento gli è sembrato raggiungibile. 

L’ex muratore ora disoccupato, poche ore dopo, confessando, ha detto di aver «pianificato tutto una ventina di giorni fa per colpire quelli dei governo». Il dramma si è consumato in una manciata di secondi. Il brigadiere Giuseppe Giangrande, il più grave dei feriti (la pallottola al collo gli ha leso le vertebre, si teme la paralisi), è crollato a terra. La gente, intanto, fuggiva dalla piazza. Gli uomini dell’Arma e gli agenti di polizia in servizio a Palazzo Chigi si sono guardati attorno e hanno subito individuato l’attentatore. Preiti, 46 anni, disoccupato, originario della Calabria, stava cercando di allontanarsi a piedi verso Montecitorio. Alcuni carabinieri lo hanno bloccato, saltandogli letteralmente addosso e senza rispondere al fuoco, all’angolo del palazzo sede del quotidiano «Il Tempo».
«Abbiamo solo cercato di fare il nostro dovere - racconta il carabiniere che lo ha immobilizzato - La piazza era piena di gente. Non appena sono partiti gli spari, ci siamo gettati in più d’uno sull’aggressore». L’uomo è stato ammanettato e tenuto a faccia in giù sul selciato. Poco dopo - il viso sporco di sangue per alcune escoriazioni alla fronte - è stato portato via. Prima all’ospedale «San Giovanni» per una medicazione, poi negli uffici del Nucleo Investigativo dei carabinieri vicino a via Cavour.

Alcuni operatori tv che erano nella sala stampa di Palazzo Chigi in attesa della prima seduta del Governo sono usciti fuori e hanno iniziato a filmare la scena. Si vedono i soccorritori che si affannano con i telefonini attorno carabinieri raggiunti dalle pallottole («Correte! Un’ambulanza: ci sono colleghi feriti!») e nella faccia di Preiti si disegna una smorfia che sembra un ghigno. L’uomo, mentre è faccia in giù, dice ai carabinieri: «Per favore: allentatemi le manette. Non sento più il braccio».

Preiti, secondo la ricostruzione degli investigatori, era arrivato a Roma con un treno dalla Calabria nel pomeriggio di sabato. Camera alla pensione «Concorde», in via Amendola, vicino alla Stazione Termini, uno dei tanti alberghetti della zona. La stanza, la 522, al quinto piano, è stata perquisita ieri pomeriggio dai carabinieri. Non è stato trovato «nulla di significativo». L’edificio dell’hotel, durante i controlli, è stato praticamente circondato.


A piazza Colonna, nei primi istanti dopo le detonazioni, si era diffusa la voce di «un complice dell’attentatore in fuga». Ma era solo una delle tante leggende che si mettono in moto ogni volta che accade qualcosa di dirompente. Vedendo la scena dall’alto in modo distaccato, Michele Gentiloni Silveri, un noto avvocato penalista che abita di fronte a Palazzo Chigi, ha immediatamente percepito la realtà. «Ho sentito gli spari e mi sono affacciato a una finestra - dice - È stato subito chiaro che si trattava di una sola persona e che non c’erano complici. Non c’era particolare tensione. C’era un carabiniere a terra e attorno lui colleghi che si prodigavano. Davanti alla sede del Governo, dopo gli spari, non è stato creato alcun cordone. Poliziotti e carabinieri, mentre venivano soccorsi i feriti, si sono limitati a chiudere gli accessi di piazza Colonna per tenere lontani i curiosi».

Le telecamere tra la Camera e la sede del Governo hanno ripreso l’aggressione. I carabinieri hanno a disposizione tre filmati. Il disoccupato calabrese, da ieri sera in carcere a Rebibbia, si aggirava nella zona di Montecitorio fin dalle dieci e un quarto del mattino, un’ora e venti minuti prima dell’azione. Per due volte lo si vede nitidamente che percorre le vie d’accesso a piazza Colonna e torna indietro dopo aver dato uno sguardo: ultimi preparativi prima del «gesto eclatante». Ma le immagini mostrano, con altrettanta chiarezza, che nessuno lo controlla, nessuno lo nota, nessuno lo intercetta. Il neoministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha parlato di «gesto isolato» e ha confermato che il disoccupato «voleva farsi uccidere, ma aveva finito i proiettili». Un’intento che sembra confermato dalle urla dell’ex muratore durante la sparatoria. Ma Preiti, sopra ogni altra cosa, voleva uccidere e trascinare qualche membro dell’Esecutivo nel gorgo della 

disperazione.

Il primo pensiero va ai due carabinieri. Fedeli nei secoli, stanno in prima fila a difendere la nostra sicurezza e le istituzioni. Pagano, per questo impegno, troppo e troppo spesso. Ieri non si è fatto a tempo a piangere il carabiniere ucciso a Maddaloni durante una sparatoria nel corso di una rapina, che è arrivata la terribile notizia dei due militi feriti davanti a Palazzo Chigi. Sono servitori dello Stato che non mettono in relazione i rischi con i modesti stipendi che ricevono. Non lo si ricorda mai abbastanza. Poi c'è l'uomo che simbolicamente, nel momento in cui al Quirinale i membri del nuovo governo stavano giurando, voleva colpire i politici e ha sparato contro gli ostacoli che si è trovato di fronte, appunto i carabinieri. Si stanno sprecando gli approfondimenti sulla sua vita, su possibili disturbi mentali e quanto altro si possa sapere. Certamente il suo è un gesto folle, lucidamente folle. Ma sarebbe in fondo comodo cavarsela accertando che non era sano di mente. 
Al contrario chi lo conosceva bene, in primo luogo i parenti, descrivono una persona normale che non trovava lavoro, con due unioni familiari fallite e con la passione per le slot machine. Nulla faceva presagire quanto stava covando di fare da settimane. Le parole più sagge le ha dette il presidente della Camera, Laura Boldrini, quando ha ricordato che il disagio sociale trasforma una vittima in carnefice.
L'Italia è una pentola in ebollizione. Quando Grillo ha sostenuto che senza il suo movimento ci sarebbe stata la violenza, subito tutti gli hanno dato addosso. In realtà lui aveva constatato una verità che è sotto gli occhi di tutti. Il fatto che la protesta sociale e politica si sia incanalata così clamorosamente sul Movimento Cinque Stelle, dopo aver tentato senza successo la strada dell'astensionismo, non ha cancellato le cause del disagio, che dilaga nel Paese, ma quanto meno è stata una risposta condita di un barlume di speranza. Come sia stata poi utilizzata questa immensa fiducia è un'altra questione. Ma nessuno può negare che se non ci fosse stata quella possibilità, probabilmente la crisi sociale avrebbe preso pieghe imprevedibili e sicuramente drammatiche. In Italia si è formata una miscela esplosiva. Da un lato i privilegi della Casta, dall'altro il disastro sociale con le imprese che falliscono e gli italiani che perdono il lavoro, con gli ammortizzatori sociali inadeguati e a rischio e le nuove generazioni senza speranza di futuro. Se ci fossero stati soltanto i privilegi, forse in molti, per lunga consuetudine con questi comportamenti, se ne sarebbero fatti una ragione. Ma detti privilegi, ostentati e scandalosi, sono diventati insopportabili per una popolazione costretta a sacrifici crescenti e, spesso, in uno stato di indigenza. In questo contesto si inseriscono prima i lavoratori sui tetti o sulle gru, poi i suicidi degli imprenditori e ancora quelli di persone che hanno perso il lavoro o che non reggono ad un'altra perdita ancora più umiliante, quella della dignità. E in esso va iscritto anche quello che è accaduto ieri. Un gesto folle, lucidamente folle, ma tragicamente simbolico. Troppo facile e strumentale scaricare la colpa sulle spalle di chi è stato, politicamente, più duro verso la Casta. Ora si mette sotto accusa Grillo, ci manca poco che sul banco degli imputati non si facciano sedere anche i giornalisti Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, che hanno scritto libri di fuoco su questa materia. Pur senza avere alcuna simpatia per Grillo, crediamo che lui non sia la malattia ma la dimostrazione che la malattia esiste, e che è pure molto grave. Altra faccenda è l'uso che lui abbia fatto dell'immensa fiducia che gli italiani gli hanno consegnato, come ricordavamo proprio ieri in un altro articolo nel quale invitavamo i senatori, i deputati e i simpatizzanti di M5S ad una riflessione ponderata sulle scelte fatte e su quelle che sono da adottare. Piuttosto, la preoccupazione è un'altra. In questi giorni finalmente si è formato un Governo. Presenta qualche novità, ma contiene anche elementi connotativi non sottovalutabili.
Un esperto di queste cose, il dc Paolo Cirino Pomicino, in un twitter ha scritto, compiacendosene, che erano anni che non si vedevano tanti democristiani in un governo. Comunque sia, speriamo che questo Governo faccia le cose fondamentali che servono al Paese in questo momento. Su quello si giudicherà. Ma vedete che cosa accade? Che il partito del pensiero unico è ritornato immediatamente in funzione, inossidabile e invincibile, grazie ad un sistema dell'informazione che spesso ci fa vergognare di appartenerci. Sembra di essere ritornati ai primi mesi del governo Monti. Nessuno poteva parlare, tutto era bello, magnifico, meraviglioso. Ogni riforma era la migliore del mondo, ogni annuncio era calato direttamente dall'Olimpo, ogni sacrificio era dolce e soave. Poi si è vista come è finita. Siamo ridotti con le pezze al sedere, a momenti peggio di come Berlusconi aveva lasciato l'Italia al professore della Bocconi. Ora, questo governo Letta non ha ancora giurato e già si sentono lodi a destra e sperticati complimenti a sinistra. Non hanno ancora fatto nulla e sono già i salvatori della patria. Ovviamente, ce lo auguriamo, ma lasciamo che lo dimostrino e poi giudichiamo. Per chiudere su Grillo. Non ci piace la rete, pensiamo che la politica abbia bisogno di altro, e non crediamo che qualche migliaio di persone che votano le Quirinarie contino più di sessanta milioni di italiani, ma su una cosa è difficile dargli torto: quando parla della disinformazione dilagante. I partiti del pensiero unico, di qualunque colore e connotazione, procurano danni devstanti al Paese. Sarebbe opportuno fidarsi poco di loro.