Solo dalla direzione del Pd di oggi pomeriggio si capirà quale composizione e durata potrà avere il possibile esecutivo di larghe intese che ieri Giorgio Napolitano ha dato per inevitabile vista anche, e soprattutto, la matematica. I tempi sono strettissimi e nelle parole di ieri del Capo dello Stato si scorge l’intenzione di chiudere tutto in settimana dando l’incarico domani, con il doppio voto di fiducia entro sabato. D’altra parte occorre battere il ferro fin che è caldo senza lasciare tempo ai partiti di costruire nuove opzioni più o meno paralizzanti.

Mentre Berlusconi punta deciso ad interpretare alla lettera l’invito del Capo dello Stato ed è pronto a mettere in piedi un governo politico e di legislatura, a sinistra le contorsioni non sono ancora cessate e ieri sera a Palazzo Grazioli si guardava con una certa apprensione al numero di coloro che nel Pd diranno «no» o subordineranno la nascita dell’esecutivo ad un orizzonte temporale. Nel destino a breve del Pd e del Pdl sembra esserci solo la nascita di un esecutivo di larghe intese, con il Quirinale nel ruolo propulsore di una legislatura che di fatto non è ancora cominciata. Ai blocchi di partenza è schierato già il possibile presidente del Consiglio: Giuliano Amato. Il dottor Sottile è infatti tra coloro che lo stesso Napolitano ha più volte consultato nel corso di un settennato difficile ed è in pole position nella corsa a palazzo Chigi. A meno che i due principali partiti non arrivino ad un’intesa su altro nome. Eventualità che il Quirinale non esclude, ma che sembra impossibile viste le tensioni esistenti a sinistra e i mugugni che serpeggiano anche nel centrodestra con la Lega pronta a chiamarsi fuori riequilibrando di fatto il ”no” a sinistra pronunciato già da Sel. Se il Pd oggi pomeriggio conterrà i dissensi che potrebbero prodursi in aula in un ”no” alla fiducia, la strada del governo Amato potrebbe spianarsi mentre verrebbe archiviata l’ipotesi di un incarico a Enrico Letta che potrebbe comunque avere nel nuovo esecutivo un ruolo di rilievo come vicepremier insieme ad Angelino Alfano.

Sulla carta un governo Pd-Pdl-Scelta Civica può contare su 455 voti a Montecitorio e 240 al Senato. Una maggioranza bulgara che potrebbe rafforzarsi mettendo ministri politici nell’esecutivo come pretende il Pdl e come, raccontano, lo stesso Alfano ieri abbia ribadito di nuovo al Capo dello Stato. Oltre al segretario del Pdl, Berlusconi potrebbe dare il via libera al saggio Gaetano Quagliariello, candidato alle Riforme, ad una donna come l’ex ministro Gelmini o alla parlamentare Bernini. In odore di poltrona ministeriale anche l’ex presidente del Senato Renato Schifani. All’Economia sembra difficile la riconferma di Grilli ed è probabile che si decida di pescare in Bankitalia con il direttore generale Saccomanni o il ”saggio” Salvatore Rossi che, in alternativa, potrebbe comunque finire alle Funzione Pubblica. Tra i dieci saggi a suo tempo nominati da Napolitano si pescheranno le figure più tecniche che serviranno a completare la rosa dei ministri qualora i partiti fatichino a dare indicazioni. L’ex presidente della Basilicata Bubbico potrebbe essere una delle indicazioni provenienti dal Quirinale, mentre il suo compagno di partito, Francesco Boccia, viene candidato per dicasteri difficili come il Lavoro o lo Sviluppo Economico. Dopo anni di ostracismo, ieri erano i giornali di destra a evocare Luciano Violante alla Giustizia. Agli Esteri, anche in chiave di contenimento della liquefazione della sinistra, potrebbe finire un escluso di lusso come Massimo D’Alema.
L'inciucio è servito, il Caimano è salvo, la partitocrazia si è asserragliata dentro il suo fortino, separata ormai del tutto dal Paese e proprio per questo in grado di infliggergli altri drammi, se non il colpo alla nuca. Ci sono più probabilità che Napolitano arrivi alla fine del suo secondo settennato, che non l'unità del Paese, anche se la gravità della situazione non viene ancora ben percepita: le formalità democratiche sono state rispettate, i riti turibolari sono stati eseguiti, ma siamo di fatto dentro una dittatura della partitocrazia, dentro quella oligarchia che diviene conclamata con grande gioia dei media che mangiano in quel piatto. 

Che sia così lo dimostra l'assenza di una opposizione lucida e determinata che sappia andare oltre lo schiamazzo o la narrazione. Un'opposizione che non potrebbe essere se non di sinistra visto che il marchingegno messo a punto per cancellare la voglia di rinnovamento risponde a tutti i desiderata del sado liberismo, ma anche alle esigenze autoritarie che ne sono il necessario risvolto. Dunque all'essenza della destra. C'è un problema però: che la sinistra non esiste più o almeno non c'è una sinistra che sappia liberarsi dai fantasmi del passato e insieme elaborare nuove strategie, prassi e prospettive. Coinvolgere insomma.

Questa è la realtà: il nuovo di Barca, redatto appena pochi giorni fa, è una riflessione sulla forma partito, un contorto passaggio alla sinistra "palestra", anche interessante da un punto di vista sociologico, ma senza uno straccio di contenuti e di idee concrete, senza nemmeno la volatile ombra di un ideale: una pura esercitazione accademica sul corpo marcito del Pd, dove l'area socialdemocratica è ormai residuale, coperta dalle mucillaggini di apparato. Purtroppo la forma non ha un senso se priva dei contenuti e anzi lascia l'impressione che l'unico contenuto sia la forma stessa come in effetti suggerisce l'espressione clou "buon governo" che in termini di sostanza è il nulla. Insomma un altro personaggio della stessa pasta degli altri, un opportunista che ha atteso la fine della sesta chiama per dichiararsi a favore di Rodotà così da non pagare dazio e farsi la sua campagna da segretario dei resti piddini. Tuttavia, resistendo all'effetto emetico, non si può non notare la straordinaria affinità con Vendola che dopo aver inghiottito tutto o quasi del montismo, ora lancia un nuovo cantiere: «Sel è impegnata a ricostruire dalle fondamenta una nuova sinistra di governo».

Che vuol dire «di governo»? Ma quello che si intende ormai da quarant'anni: la Sinistra di governo è quella che governa come la destra e dunque non può esprimere posizioni alternative, ma solo palliative. Mentre se elabori contenuti non dico antagonisti, ma diversi, sei una sinistra di testimonianza che non potrà mai arrivare nelle stanze dei bottoni. E' caduta l'Unione sovietica, si è sbriciolato il muro di Berlino, è finito il mondo bipolare, la Cina formalmente comunista è diventa la prima potenza industriale del mondo, i Brics si apprestano a fare da contraltare alla finanza occidentale, ma noi ragioniamo ancora nei termini del fattore K, l'esclusione del Pci dal governo, imposta dalle logiche del mondo bipolare e garantita con tutti i mezzi, stragi comprese. Sorprendentemente proprio questo è diventato uno dei capisaldi della cultura di sinistra, almeno di quella che ha ancora voce.

Dunque non so cosa potranno elaborare di originale ed efficace i nuovi cantieri, anche ammesso che non siano la solita orgia di interventi, scontri e bizze dei soliti noti, se nascono dentro queste sconfitte preventive. E che si traducono poi in narrazioni sconfessate dalle azioni o dall'emergere di personaggi di ambito bancario e finanziario come il bocconiano Barca che di sinistra effettiva ha solo il padre. Dunque rimarremo senza opposizione che non sia quella ondivaga, pervicace, ma informe del M5S i cui esiti paiono sconosciuti agli stessi fondatori e che tuttavia esprime anche contenuti come il salario di cittadinanza, che la Sinistra «di governo» non osa, nonostante tutti i Paesi europei lo abbiano. Ecco, magari nei cantieri bisognerebbe osare un po': perché al governo vero ci si arriva solo se si ha anche il coraggio di testimoniare una speranza.