Con un’accelerazione proprio sul finale, la seconda sezione della Corte d’Appello ha pronunciato una sentenza decisiva per il Cavaliere. «Nessuna sorpresa, non ci aspettavamo nulla di diverso dai giudici di Milano», minimizza l’avvocato Niccolò Ghedini. Certo è però che il verdetto Mediaset rischia di interrompere bruscamente la carriera politica di Silvio Berlusconi, sempre che nel frattempo non intervenga la prescrizione.

LA TAGLIOLA DEL 2014
I termini, per il processo sull’acquisto dei diritti televisivi, scadranno a luglio del 2014: se entro questa data la sentenza non diventerà definitiva con il pronunciamento della Cassazione, l’accusa di frode fiscale nei confronti dell’ex premier sarà prescritta. Teoricamente quattordici mesi bastano e avanzano per completare il percorso giudiziario, se non fosse che sul verdetto d’Appello pesa l’incognita della Corte costituzionale, chiamata a decidere se sia stato corretto svolgere a marzo 2010 un’udienza di primo grado nonostante Berlusconi fosse impegnato in una riunione del consiglio del ministri e avesse sollevato un legittimo impedimento. La Consulta scioglierà la sua riserva a giugno e sul tavolo ci saranno due opzioni: ritenere l’udienza di tre anni fa ininfluente, soluzione che manterrebbe integre le due sentenze, oppure dare ragione al Cavaliere e rimandare il processo alla Corte d’Appello, che a sua volta deciderà se ripetere l’udienza riconvocando i quattro testimoni americani. Ipotesi che allungherebbe i tempi in maniera tale da rendere la prescrizione pressoché scontata. Il collegio presieduto da Alessandra Galli ha deciso di chiudere comunque la sua partita con il Cavaliere pronunciando la sentenza prima della Consulta, sfruttando fino in fondo l’opportunità offerta dall’ex premier che, pur impegnato in questioni politiche, non ha opposto alcun legittimo impedimento per l’udienza di ieri. E così i giudici sono andati fino in fondo, confermando la sentenza di primo grado a quattro anni di carcere e cinque di interdizione dai pubblici uffici.

INDULTO A RISCHIO RUBY
Esito che per il futuro politico del fondatore del Pdl potrebbe rappresentare un serio problema. Non solo c’è l’interdizione, che se confermata in via definitiva lo metterebbe fuori gioco, ma anche il contraccolpo del decreto varato dal governo Monti: con una condanna superiore ai due anni scatta la decadenza dal seggio parlamentare. Vero che per effetto dell’indulto a Berlusconi vengono condonati tre anni, tuttavia se dovesse incassare una condanna sopra i due anni anche nel processo Ruby il condono gli verrebbe revocato e rientrerebbe nel perimetro del decreto Monti. La norma riguarda alcuni reati, tra cui quelli contro la pubblica amministrazione come la fronde fiscale, e prevede che a pronunciarsi sul decadimento del seggio sia la camera di appartenenza. Nel caso del Cavaliere il Senato, dove non dispone della maggioranza per disinnescare questa potenziale mina. «Non esiste alcun caso politico, semmai un caso giudiziario», taglia corto Ghedini. Parla di prove calpestate e di testimoniante ignorate, mentre per l’accusa undici anni di indagini e sette di processo hanno portato ad accertare - sebbene in via non ancora definitiva - una «scientifica e sistematica evasione fiscale» organizzata e architettata da Silvio Berlusconi. Al quale viene attribuita dai giudici di primo grado «la particolare capacità a delinquere dimostrata nell’esecuzione del disegno delittuoso».