Una notte in bianco, di super lavoro, si dice, per i capi di governo ed i ministri economici dei paesi della UE per concordare le misure immediate da attuare per far fronte alla crisi sistemica del modello di sviluppo dei paesi occidentali ed in particolare alla profonda crisi  in cui è piombata,  per una relazione causa/effetto, l'intera UE, sia a livello istituzionale che decisionale.


Il responso dell’Europa sul contenuto della lettera del governo per rilanciare la crescita e lo sviluppo del Paese è tiepido. Il premier polacco Donald Tusk, che è anche presidente di turno della Ue, aveva definito “molto buono” il documento. Nella notte, però, le prime anticipazioni sul responso ufficiale dell’Europa descrivono una situazione meno serena: “Bene le riforme, chiederemo alla Commissione di valutarle e di monitorarne l’attuazione”. La mission impossible di Berlusconi è quella di fare in 8 mesi ciò che non si è fatto in tre anni di governo. Con una lettera – rivolta a “Herman” (Van Rompuy, presidente del Consiglio Ue, ndr) e José Manuel (Barroso, presidente della Commissione europea, ndr) e firmata in calce “un forte abbraccio, Silvio” – il presidente del Consiglio ha illustrato le “quattro direttrici” che entro giugno 2012 dovrebbero “creare condizioni strutturali favorevoli alla crescita”.

Ma fra tante dichiarazioni d’intenti (“apertura concorrenziale del mercato”, “sostegno alle imprese”, “semplificazione normativa”, “modernizzazione di pubblica amministrazione e giustizia”, “realizzazione di infrastrutture”), sono due i nodi che hanno suscitato immediatamente polemiche. Entro maggio 2012, infatti, l’esecutivo promette di approvare “una riforma della legislazione del lavoro – si legge nella missiva – anche attraverso una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato. Levata di scudi dall’opposizione e dalla Cgil, con Susanna Camusso che parla di un attacco all’articolo 18. Nel documento si legge anche che il governo interverrà nella Pubblica amministrazione e renderà effettivi “con meccanismi cogenti/sanzionatori”: la mobilità obbligatoria del personale; la messa a disposizione (Cassa integrazione) con conseguente riduzione salariale e del personale; il superamento delle dotazioni organiche.

L’altro grande nodo è quello delle pensioni, con la conferma della proposta per la soglia di età dei 67 anni da raggiungersi solo nel 2026. Infine un piano da 5 miliardi l’anno (per 3 anni) di introiti per le dismissioni del patrimonio pubblico. Anche se, in realtà, lo Stato italiano ha finora censito solo la metà dei propri beni.

L’Europa aspetta al varco l’Italia ma non boccia le idee del governo. Tutto bene anche per Umberto Bossi, o forse no. Il leader del Carroccio è tornato sulla situazione interna, facendo sapere che “si vota quando lo dico io”. Il Senatur, il cui partito nelle ultime ore è stato sul punto di staccare la spina al governo per le divergenze sullo scottante tema delle pensioni, ha dichiarato di “avere il coltello dalla parte del manico. Si vota quando lo decido io”. Ieri Silvio Berlusconi era riuscito a trovare un accordo con la Lega in extremis, al termine di un lungo incontro a palazzo Grazioli.



Quello che rimane incomprensibile resta il fatto che non ci si rassegni all'idea che questa crisi, di portata mondiale, è sistemica. Il modello di sviluppo fallimentare imposto dai governi e più specificatamente dagli USA, quello liberista-capitalista, adottato dal dopo guerra in poi, ha portato povertà, non ricchezza, sperequazione sociale, disoccupazione ed incertezza diffusa. Per questo si chiede al ceto medio, alla classe operaia, la riduzione di diritti sul lavoro, delle indennità dirette ed indirette, la rinuncia al welfare, la mobilità e flessibilità del mercato del lavoro. Oggi, la risposta a questa crisi, almeno in Italia, è stata il pensionamento a 67 anni dal 2026. La domanda è: alla prossima crisi si andrà in pensione a 76 anni o forse ancora più in là? La verità è che è ora che si ripensi un modello di sviluppo sostenibile che redistribuisca la ricchezza consentendo un governo della economia responsabile, nel rispetto della vita umana e del mondo in cui viviamo, che garantisca, davvero un benessere diffuso. La discriminante non può e non deve più essere solo il profitto. Essere padroni del proprio futuro significa disegnare una società che faccia della civiltà, del rispetto del prossimo, del sole della giustizia i cardini di valori morali che esulano dal  bieco ed ossessivo bisogno di lucro.
Questo governo, ma oserei dire, l'intero Parlamento Italiano, sono ormai svuotati di ogni funzione, ogni responsabilità, ogni significato. Siamo di fronte ad un esecutivo tecnocratico sovranazionale: formalmente governo e ministri sono in carica, come i rappresentanti parlamentari, ma in realtà le decisioni vengono prese dai tecnocrati dell'unione europea. A Berlusconi rimane solo la ratifica parlamentare di decisioni prese da altri esponenti, in altre sedi.
A questo punto sarebbe addirittura auspicabile un esecutivo centralizzato a livello europeo che permetta una attività decisionale diretta, mirata e sovranazionale: i costi della politica verrebbero cancellati, (così come il teatrino patetico della politica cui siamo quotidianamente costretti ad assistere) e finalmente gli oneri dell crisi peserebbero sulle spalle di colori i quali ne sono direttamente, per indolenza, o indirettamente, per carica istituzionale ricoperta, i veri "responsabili".