Steve Jobs, il padre di Apple e di alcune delle più brillanti invenzioni dell'era digitale, è morto a soli 56 anni. A ucciderlo è stato il cancro al pancreas, la malattia contro cui lottava dal 2004. Negli Usa e nel mondo era conosciuto come il più grande innovatore dei nostri tempi. A lui si devono l'iPod, l'iTunes, l'iPhone e l'iPad, strumenti che hanno rivoluzionato un'industria intera, lasciando un'impronta indelebile nella nostra società. La sua straordinaria vita professionale inizia nel 1976, quando in un garage fonda Apple con Steve Wozniak e Ronald Wayne. Ma poi non furono - come ammise più volte in pubblico lo stesso Jobs - «tutte rose e fiori». Nel 1985, quando Apple conosce le prime difficoltà, viene messo alla porta dalla stessa azienda che aveva creato. Fu un colpo durissimo. In quella occasione, come già era successo durante la sua non facile gioventù, Jobs non si perse d'animo : si cimentò col cinema di animazione e lo rivoluzionò lanciando Pixar, oggi un colosso nella mani della Disney. Nel 1996 Jobs ritornerà in soccorso della sua creatura, la Mela, praticamente sull'orlo del baratro dopo i colpi inferti dalla concorrente, Microsoft. Si trattava di compiere quasi un miracolo, ciò che fece Jobs lanciando la seconda fase di «Apple», quella che conosciamo tutti perchè è sinonimo di smart-phone, touch screen, IMac ma anche di un nuovo modo di ascoltare musica, leggere i giornali e navigare su Internet. «L'effervescenza, la passione e l'energia di Steve sono state fonti di innumerevoli innovazioni che hanno arricchito e migliorato tutte le nostre vite -ha dichiarato Apple in un comunicato- Grazie a Steve il mondo è immensamente migliorato».
Al mondo però Steve Jobs non lascia solo le sue «intuizioni geniali», ma lascia una vita, la sua, che in se stessa è già una lezione per tutti. Il suo vero testamento, probabilmente Steve Jobs lo consegno già nel 2005 quando parlando ai neolaureati di Stansford lanciò il monito: «siate folli, siate affamati», il motto della sua vita. Lui che abbandonò l'università per non fare spendere ai genitori adottivi i risparmi di tutta la loro vita, che dormì sui pavimenti del college per seguire improbabili corsi di calligrafia. Eppure, come disse allora ai ragazzi, «nella vita spesso la questione è sapere collegare i punti, mettendo a frutto le esperienze passate» e facendosi guidare dall'unica cosa che conta, la passione. E, difatti, quei corsi di calligrafia, seguiti solo per passione, si rivelarono utilissimi già nel primo Macintosh, famoso per l'accuratezza e l'estetica dei suoi caratteri oltre che per la modernità dell'interfaccia grafica. «Dovete credere in qualcosa: il vostro guru, il destino, il karma o altro. Questo approccio non mi ha mai mollato ed è questo che ha fatto la grande differenza nella mia vita».
Tutta l'America oggi è in lutto per la perdita di uno dei suoi più grandi uomini. Ringraziamenti per quello che ha fatto, assieme alle condoglianze, sono arrivate dai suoi amici, Bill Gates e Mark Zuckerberg, e dai più conosciuti capitani d'aziende americani. Alle 21:30 di sera anche un lungo messaggio di cordoglio del Presidente Barack Obama: «Steve è stato tra i più grandi innovatori dell'America, coraggioso abbastanza da pensare in modo diverso, audace abbastanza da credere di poter cambiare il mondo e con il talento sufficiente per farlo». Steve - continua Obama - «è la personificazione dell'ingegno americano: facendo personal computer e mettendo internet nelle nostre tasche, ha fatto della rivoluzione dell'informazione qualcosa di accessibile, divertente ed intuitivo». Steve, ricorda ancora Obama, «era solito dire che viveva ogni giorno come fosse l'ultimo. E l'ha fatto per davvero, trasformando le nostre vite, ridefinendo l'intera industria e compiendo una delle più difficili imprese della storia umana: ha cambiato il modo in cui ognuno di noi vede il mondo». «Forse - conclude il messaggio presidenziale - il fatto stesso che il mondo ha appreso la notizia della sua morte da uno degli strumenti che lui ha inventato è il tributo più grande al successo di Steve».
Ecco l'articolo di Matteo Bartocci, pubblicato sul manifesto del 26 agosto 2011, all'annuncio del ritiro di Steve Jobs dall'azienda.

STEVE JOBS LASCIA IL TIMONE DELLA APPLE iQuit, l'ultimo morso del principe dei «nerd»Mr. Think different è il più grande inventore del '900. Per Cupertino il futuro inizia ora.

Un manager, un leader, un inventore. Il più straordinario «nerd» di tutti i tempi. Dopo mesi di malattia, Steve Jobs lascia definitivamente la guida della Apple.
Il suo addio non è solo un vero giro di boa per un'azienda che ha infilato una dopo l'altra una serie di innovazioni senza precedenti. E' anche il passaggio di testimone di una generazione eroica, fricchettona e visionaria che dagli anni '70 guida quella rivoluzione tecnologica che da decenni continua a ridisegnare gusti, socialità, comunicazione, business, arte e creatività di miliardi di esseri umani.
La lettera con cui annuncia ai dipendenti e ai mercati il passaggio di consegne al suo numero due operativo, Tim Cook, è un capolavoro di classe, umiltà e understatement: «Non sono più all'altezza dell'incarico e delle mie aspettative come amministratore delegato ... ma sono sicuro che i giorni più brillanti e innovativi della Apple sono ancora davanti a noi». A differenza dei giovanissimi creatori di Google e Facebook, né Jobs né Bill Gates si sono mai laureati. Entrambi hanno creato dal nulla, in un garage, aziende che hanno cambiato la storia dell'umanità.
Solo a scorrerne i passaggi principali, la biografia di Steve Jobs eccede quella di una dozzina di persone normali. Nato non voluto da un padre siriano musulmano e da una teenager che l'ha subito dato in adozione, Jobs è senza dubbio il più grande inventore del XX secolo. Non solo di oggetti come l'AppleII, il Macintosh, l'iMac, l'iPhone, l'iPod e l'iPad. Ma anche di interfacce tanto naturali che un minuto dopo essere state create sembra ci siano sempre state: l'uso totale del mouse e delle icone, la grafica asciutta e iper-usabile (frutto dei suoi studi da giovane drop-out in calligrafia), la genialità delle animazioni Pixar, il multitouch.
Un telefono senza pulsanti e un computer senza tastiera sembrano impossibili da descrivere a parole. Ma basta sfiorare il vetro di un iPhone o di un iPad per capire che quel tocco leggero è sempre stato nelle nostre potenzialità. Era nelle nostre mani prima che lo sapessimo. Del resto, a chi gli chiedeva quale fosse stata la ricerca di marketing preliminare al lancio dell'iPad, Jobs ha risposto: «Nessuna, non è il lavoro dei consumatori sapere quello di cui hanno bisogno».
Innovazioni che si ripercuotono anche nell'arte: chi avrebbe mai potuto imporre alle case discografiche mondiali la vendita legale di un dollaro a canzone? Dal 2008 invece iTunes è il primo negozio di musica del pianeta. E anche quando è uscito il primo iPad, tanti l'hanno bollato come «un inutile iPhone più grande»: «Non ha una funzione chiara». Forse. Però ne sono stati venduti 10 milioni solo negli ultimi 90 giorni. Come dicono gli analisti, «non c'è un mercato dei tablet, c'è solo un mercato dell'iPad».
La recente uscita di Hp dal mercato - clamorosa e definitiva - è solo l'ultimo trionfo di un'invenzione già amatissima e (quasi) perfetta. Jobs oltre a inventare nuova tecnologia è stato un implacabile distruttore di quella obsoleta. I suoi computer sono stati i primi ad abolire prima il floppy disk, poi il lettore cd, e in tanti hanno criticato l'iPad per la sua superficie perfettamente liscia: «Non ha neanche una porta usb». Eh già. Nel frattempo la Silicon Valley sta sposando la filosofia della «cloud», la nuvola immateriale che avvolgerà tutta la musica, testi, video e foto che siamo capaci di immaginare. La nostra identità, e non è detto che sia un bene, non sarà più bloccata in un oggetto più o meno portatile ma a disposizione ovunque e comunque.
Chi critica il suo sistema chiuso, ferocemente proprietario (chiedere a Samsung che è appena stata sconfitta all'Aja nella battaglia dei brevetti), non può non riconoscerne il successo: 15 miliardi le «app» scaricate.
Non è fortuna o il frutto di freddo marketing, è soprattutto un incrocio di intuizione e visione. Solo un «nerd», uno smanettone misantropo e adoratore della tecnologia può essere così arrogante da imporre quello che ancora non c'è. Pensare l'impossibile affinché si avveri. Ieri sul suo blog Vic Gundotra, il numero tre di Google, commentando l'addio di Jobs ha raccontato una storia. Era il giorno della Befana del 2008, una domenica mattina, e Jobs l'ha chiamato per chiedergli una cosa urgentissima. Sarebbe stato un problema per loro se Apple avesse cambiato il tono di giallo della seconda «o» di Google perché sullo schermo dell'iPhone gli sembrava «sbagliato»? Ecco Steve, un signore che la domenica mattina si occupa di un dettaglio insignificante non solo per la maggior parte delle persone ma anche per qualsiasi supermega miliardario.
Apple non è solo la compagnia più ricca di Wall Street, seconda solo a un gigante «cattivo» come la Exxon Mobil (e per qualche settimana l'ha anche sorpassata). E' anche la società che fa più profitti in proporzione alle sue relativamente piccole quote di mercato (+125% nell'ultimo quarto, in piena crisi). Crea oggetti costosi, li produce a poco e li vende straordinariamente bene. Il 62% dei ricavi è extra Usa ma il suo marchio è la quintessenza dell'America. Niente «buonismo»: pragmatismo e sogni allo stato puro. Contrariamente alle altre società di Wall Street, Apple fa zero beneficenza e non distribuisce dividendi. Rimane tutto in cassa e viene reinvestito nei suoi prodotti e nelle sue persone. E' un modello che funziona? Beh, dieci anni fa le azioni valevano 9 dollari, oggi 370.
One more thing. Jobs resta un dipendente della Mela e chairman del cda. Cosa lascia alle sue spalle? Per ora la società ha un team di superstar. Tim Cook è un workhaolic nato nel Sud, mago della logistica e della produzione industriale (è anche nel cda della Nike). Uno che sui blog viene già bollato come il manager gay più potente del mondo (non ha mai fatto coming out, però). Jonathan Ive è il geniale designer britannico che ha condiviso con Jobs tutte le svolte più importanti. E accanto a loro c'è il capo del software Scott Forstall. Le difficoltà non mancano. Ron Johnson, principe del retail e inventore dei super-profittevoli Apple Store, per esempio, lascerà a novembre (va ai supermercati J. C. Penney). Ma finché il top management resta quello, non c'è ragione di ritenere che a Cupertino smettano di innovare e vendere.