E’ odioso essere commissariati, essere cittadini di uno Stato a sovranità limitata, a cui premier stranieri dettano l’agenda delle riforme e impongono tre giorni di tempo per dare risposte.

È irritante assistere ai risolini e agli ammiccamenti di Merkel e Sarkozy quando sentono parlare d’Italia e di Berlusconi: ciò non è accettabile ed è irrispettoso.

È umiliante ascoltare che l’Europa ci considera alla stregua della Grecia, anzi - a quanto ci risulta - al vertice di ieri è stato detto che «in questo momento non solo l’Italia è in pericolo, ma è il pericolo».

Il rispetto però ce lo si conquista con la credibilità e mantenendo gli impegni e tutto questo a noi manca da troppo tempo. Siamo il malato d’Europa perché il governo è paralizzato e non riesce a indicare una direzione di crescita e riforme. In tutto il Continente, pur tra mille divisioni, si concorda su una cosa: o il premier italiano cambia improvvisamente marcia o - per il bene di tutti - si fa da parte seguendo l’esempio spagnolo.



Ed invece ricorderemo gli umilianti ammiccamenti tra il Presidente Francese ed Angela Merkel interrogati dai giornalisti circa l'affidabilità e le rassicurazioni del premier italiano.


Il "duopolio" franco tedesco ha operato un distinguo alquanto netto: da un lato Grecia ed Italia, dall'altra gli altri Paesi coinvolti nella crisi del debito. Berlusconi e Papandreou insieme, come se Grecia ed Italia, fossero sullo stesso piano, avessero la stessa situazione economica contingente negativa, lo stesso quadro socio economico.


Forse è ingeneroso per noi italiani e la nostra contingenza, o forse siamo  noi che non abbiamo la piena consapevolezza della crisi che attanaglia le viscere del tessuto industriale economico e finanziario da troppo tempo, ormai, senza risposta alcuna, senza l'ombra di un provvedimento, lo straccio di una decisione da parte di un esecutivo che per la sua inerzia rappresenta solo una contraddizione in termini.


Ed è del tutto comprensibile che i contribuenti tedeschi e francesi che dovranno impegnarsi di più per tenere l'Euro in piedi si vogliano oggi tutelare contro il rischio che chi beneficia degli aiuti ne approfitti per rinviare ulteriormente scelte difficili quanto inevitabili.

A ben vedere il problema è tutto lì: non usciremo dalla crisi fin quando non solo i leader, ma anche l'opinione pubblica francese e dei paesi dell'ex area del marco si saranno convinte che gli strumenti di salvataggio che si vanno faticosamente approntando a livello europeo non sono un pozzo senza fondo.

Hanno non poche ragioni per temere atteggiamenti opportunistici. Se la Banca Centrale Europea non fosse intervenuta massicciamente a sostegno dei nostri titoli di stato negli ultimi tre mesi, non avremmo un governo che continua a procrastinare le misure per la crescita, dopo aver per lungo tempo cercato di rinviare ai posteri anche l'aggiustamento fiscale.

Eppure non usciremo dalla crisi senza un prestatore di ultima istanza di dimensioni sufficienti, come potrebbe esserlo la Bce. È questo in fin dei conti il problema affrontato in queste interminabili riunioni d'emergenza dei leader europei: come trovare consenso per interventi della dimensione richiesta dall'aggravarsi della crisi, rassicurando gli elettori del "cuore dell'Euro" sulla qualità del risanamento in atto nei paesi ad alto debito.

Vertice dopo vertice, gli interventi sulla carta messi a disposizione per sostenere i paesi in crisi del debito sono sempre più consistenti, per qualche giorno magari convincono anche i mercati, ma poi si rilevano ogni volta insufficienti per bloccare il contagio, la diffusione a macchia d'olio della crisi. Si potrebbe ironizzare sui tantissimi complicati schemi ideati in questi mesi per cercare di aumentare le risorse messe effettivamente in campo dai vari governi.

Sono riuscite a riportare in auge gli strumenti di finanza creativa ritenuti responsabili della crisi del 2008! Come nel caso dei vituperati CDOs, si impacchettano i "titoli tossici" dei paesi periferici con quelli di paesi che godono ancora della tripla A. Ma i mercati hanno imparato la lezione: non è un caso che lo spread fra i bund tedeschi e i titoli emessi dal fondo di salvataggio europeo si siano pericolosamente allargati negli ultimi giorni.

Il fatto è che finché si interverrà reagendo alla diffusione della crisi, anziché cercando di anticiparne gli sviluppi futuri, si sarà sempre in ritardo. Bisognerebbe invece sorprendere i mercati mettendo in campo un credibile prestatore di ultima istanza, in grado di intervenire ben oltre i limiti oggi imposti al fondo salva stati, impedendo il fallimento di altri stati dopo la Grecia. La Banca centrale europea ha tutte le caratteristiche per ricoprire questa funzione, peraltro svolta dalla Fed sull'altra sponda dell'Atlantico.

Ma giustamente la Bce non intende cimentarsi in questo compito fin quando non avrà ricevuto un chiaro mandato politico e legale dai governi della zona dell'Euro. Si è già spinta molto al di là dei compiti tradizionali di una banca centrale negli ultimi anni, diventando una specie di hedge fund, e non può diventare prestatore di ultima istanza dei governi, oltre che delle banche della zona euro, senza un preciso mandato. Altrimenti, oltre ad agire illegalmente, non sarebbe credibile perché i governi potrebbero un domani smettere di ricapitalizzarla, non dotandola di quelle risorse che le permettono effettivamente di fare prestiti ai paesi (e alle banche) in difficoltà.

La Bce non verrà mai messa in condizione di operare come la Fed, oppure di finanziare un fondo di salvataggio europeo, finché gli elettori ai due lati del Reno non si convinceranno del fatto che non c'è comportamento opportunistico nei paesi del Sud Europa. Per questo la Merkel e Sarkozy hanno ieri parlato come veri e propri commissari straordinari del nostro paese, sostenendo che d'ora in poi vigileranno passo dopo passo su ciò che farà Berlusconi, e si sono spinti fino a imporre un ultimatum di tre giorni e a dettare un'agenda di misure a un grande paese fondatore dell'Unione.

Si rivolgevano soprattutto agli elettori tedeschi e francesi. Il nostro Presidente del Consiglio ha reagito annunciando una riunione d'emergenza del Consiglio dei Ministri e misure su pensioni e vendita di immobili pubblici. Avremmo evitato tutto questo se il nostro governo avesse agito per tempo senza dover subire alcun ultimatum dall'Europa. Non è solo una questione di orgoglio nazionale. Abbiamo bisogno di riforme che affrontino i nodi strutturali, specifici del nostro paese. Bene, dunque, che le riforme per la crescita siano decise da noi, invece che essere imposte dall'esterno.