Alta tensione sui titoli di stato, con il rendimento di quelli italiani che ha toccato nuovi record. Sono le agenzie di rating però le protagoniste della giornata: l’agenzia Fitch, che lo scorso 7 ottobre tagliò il rating dell’Italia portandolo ad ‘A+’ha declassato quello di otto banche italiane. Gli istituti interessati sono la Popolare di Sondrio (tagliata da A ad A-), il Credito Emiliano, la Banca Popolare dell’Emilia Romagna e la Banca Popolare di Milano (tutte da A- a BBB), il Credito Valtellinese, il Veneto Banca e la Banca Popolare di Vicenza (tutte da BBB+ a BBB) e la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio (da BBB a BB+). In tutti i casi l’outlook è negativo, ma la preoccupazione più grande viene dalla relazione di Fitch: questa decisione “trae origine dal peggioramento delle prospettive di crescita dell’economia italiana e dall’intensificazione delle tensioni sui debiti sovrani”, che potrebbero portare “ad un incremento del costo del funding e ad un deterioramento della qualità del credito del sistema bancario, con effetti negativi sulla redditività operativa”. Più semplicemente significa che “L’Italia probabilmente è già in recessione”.

Lo spread tra Btp e Bund è tornato a salire, chiudendo a quota 498. La situazione finanziaria si è complicata ulteriormente: i tassi di interesse dei Bot semestrali sono quasi raddoppiati rispetto all’asta precedente, passando al 6,504% dal 3,535%. Il ministero dell’Economia ha collocato titoli per 8 miliardi a fronte di una domanda pari a 11,7 miliardi e ha piazzato Ctz per 2 miliardi con rendimento in crescita al 7,814%. Vola al livello record dell’8% anche il tasso del Btp a due anni. L’attenzione della Banca d’Italia è massima. Il Governatore Ignazio Visco, non ha voluto commentare l’esito dell’ultima asta dei Bot, ma si è limitato a rispondere: “Vediamo cosa succede con le misure del Governo”.

Dopo la difficile giornata di ieri sui mercati finanziari, alle prese con diversi segnali negativi e soprattutto frenati dal doppio no della cancelliera tedesca Angela Merkel - agli Eurobond e a una riforma che possa dare alla Bce un ruolo più attivo nell’affrontare la crisi – oggi la tensione si riversa sul rendimento dei Btp. Piazza Affari è riuscita ad annullare le perdite grazie a Wall Street, partita contrastata ma ora in positivo nel giorno del Black Friday, con il Dow Jones che guadagna lo 0,50%. Il Ftse Mib, arrivato a perdere oltre il 2% questa mattina, ha chiuso a +0,12 %, a quota 13.937,40 punti. Milano è rimasta in coda rispetto ai listini europei appesantita da un comparto bancario per lo più negativo. Bene, in controtendenza, gli energetici. Prosegue il rimbalzo di Finmeccanica in attesa del cda del primo dicembre; in rosso gli altri industriali. Il Dax di Francoforte ha guadagnato l’1,09% a 5.487,32 punti, il Cac 40 di Parigi l’1,23% a 2.856,97 punti., l’Ftse 100 di Londra lo 0,63% a 5.159,84 punti, l’Ibex di Madrid lo +0,36% a 7.749,3 punti. L’euro chiude debole a 1,3280 dollari sulla scia del rialzo record dei rendimenti registrato all’asta di bot semestrali di oggi. Nel corso della seduta la moneta comune ha aggiornato il minimo di sette settimane a quota 1,3210. Lo yen perde qualche punto sia sul dollaro, a 77,62, che sull’euro, a 103,04.

Prosegue intanto l’azione delle agenzie di rating: Standard & Poor’s ha tagliato il rating del Belgio portandolo ad ‘AA’ da ‘AA+’ e Fitch quello del Portogallo a BB+, mentre ieri Moody’s ha tagliato il rating sul debito sovrano dell’Ungheria portandolo a Ba1 dal precedente Baa3 mantenendo l’outlook negativo. A motivare la decisione dell’agenzia di rating soprattutto la crescente incertezza sulla realizzazione del consolidamento fiscale a medio termine di Budapest.

Difficile uscire dalla crisi del debito sovrano degli stati che come conseguente logica portando instabilità finanziaria e politica trascina verso il basso le stime di crescita fino alla recessione. Purtroppo le inevitabili misure di correzione del disavanzo incideranno prevalentemente sulla formazione di reddito disponibile delle famiglie, il quale sarà in caduta in termini reali anche nel corso 2012, dopo essersi ridotto già nei tre anni precedenti. Nel complesso dei cinque anni, al termine del 2012 il reddito disponibile delle famiglie si sarà ridotto in termini reali del 5.6 per cento, riportandosi al livello del 2000. Non inciderà solamente l’aumento della pressione fiscale, che salirà al 44 per cento e vi permarrà fino al 2014. Anche l’andamento dell’occupazione negli anni trascorsi ha avuto un ruolo rilevante nel ridurre la crescita del reddito disponibile. Nel prossimo triennio il contributo dell’occupazione avrà segni diversi: di nuovo in riduzione nel 2012, come già segnalato dagli aumenti delle richieste di Cig nel mese di settembre appena trascorso, e in leggera ripresa negli anni successivi. La possibilità di evitare cadute nel livello del commercio mondiale e quindi nelle nostre esportazioni, consentirà all’occupazione nell’industria in senso stretto di recuperare nel 2013 il sentiero di lenta ripresa che aveva già intrapreso nel corso del 2011.

Oggi paghiamo le insufficienze istituzionali italiane ed europee che, dall'acuirsi della situazione economica congiunturalmente negativa manifestatasi lo scorso luglio, non sono riusciti a gestire la crisi finanziaria e speculativa in atto e tali insufficienze hanno aperto un nuovo fronte della crisi che dagli stati periferici si sta spostando verso i cosiddetti "Paesi virtuosi", Germania e, soprattutto, Francia. Ancora una volta il “disastro” finanziario sembra imminente. La recessione è ormai in atto nei paesi del mediterraneo e si tradurrà in una crescita zero dell’economia europea il prossimo anno combinata con un rallentamento prolungato della crescita americana, ma non una recessione vera e propria e un rallentamento contenuto dei paesi emergenti. La crisi, ormai, ha assunto dimensioni globali.