In questi giorni abbiamo vissuto sulla nostra pelle la differenza tra repubblica parlamentare e quella presidenziale. Si può obiettare, cosa c'entra? Invece ha un significato profondo: se abbiamo una ultima possibilità di salvezza dal morso feroce e vorace degli squali speculatori dei mercati finanziari lo dobbiamo ai padri costituenti che hanno individuato nella repubblica presidenziale la forma di governo più coerente e nel presidente della repubblica l'ultimo baluardo prima dello sventolio della bandiera della resa di fronte alla incapacità del parlamento di esprimere una maggioranza che possa estrinsecarsi nella formazione di un esecutivo sostenuto dalle forze politiche elette.
Napolitano ha pienamente assunto il ruolo che la costituzione prevede accelerando il processo di formazione dell'esecutivo tecnico attraverso la formalizzazione della richiesta delle dimissioni del presidente Berlusconi, evidentemente incapace di far fronte a situazioni congiunturali negative drammaticamente precipitate nella scorsa settimana e, nel contempo, individuando in Mario Monti il "Caronte" traghettatore verso lidi meno battuti dalla speculazione finanziaria e verso oasi di sviluppo caratterizzate da orizzonti di crescita ed equità.
Se ci è stata accreditata questa ultima possibilità di salvezza prima di cadere definitivamente nel baratro del default lo dobbiamo proprio alla reattività e prontezza del presidente della repubblica che di fronte all'immobilismo del governo Berlusconi ha scelto di dare una scossa, al governo, al paese intero.
Forse la reazione di Napolitano era ipotizzabile anche prima L'avesse fatto nei torridi giorni di Luglio in cui i mercati finanziari già bruciavano i miliardi appena stanziati dalle manovre proposte in successione "entropica" da un esecutivo già allora in stato confusionale, forse oggi pagheremmo meno in termini di "spread" e di credibilità internazionale. Certo hanno aiutato anche i recenti vertici di Bruxelles ed il G20 di Cannes che hanno evidenziato nettamente l'isolamento in cui era piombato il governo italiano nella persona di un Presidente del Consiglio evidentemente ed indubitabilmente impresentabile. La miserrima considerazione del nostro premier ha determinato l'impossibilità di incontri bilaterali con i più importanti paesi, USA, Francia e Germania in primis, ma addirittura è arrivata alla mancata considerazione e accenno di saluto nel momento delle foto cerimoniali di rito di fine vertice.
In siffatta situazione lo sbocco naturale doveva essere, giocoforza, una crisi di governo che ponesse il paese e le problematiche immediate da fronteggiare prima di inutili orgogli o faziosità personali. In realtà è forte il dubbio che lo stesso Berlusconi abbia meditato il celeberrimo e stra richiesto "passo indietro" nel perdurare di una settimana borsistica che definire drammatica risulta persino eufemistico. Il titolo Mediaset ha perso circa il 12% (il 50%dall'inizio dell'anno) del valore azionario ed anche Mondadori e Mediolanum segnano il passo determinando davvero la fine di una era. Difficile prevedere cosa accadrà adesso che non più nemmeno l'ombrello della politica. 
Ma ci siamo abituati: dalla sua discesa in campo ha sempre utilizzato gli incarichi istituzionali per tutelare i suoi interessi tanto da divenire strumento per la realizzazione di affari privati. Gli stessi capi di Stato stranieri, che negli ultimi anni gli sono stati più vicini, non sono altro che soci. Dal gas di Putin: gli affari energetici russi rappresentano il 70% delle esportazioni verso l'Italia e la stessa Hillary Clinton ha avanzato dubbi sulla natura affaristica delle convergenze politiche tra Berlusconi e Putin, all'imbarazzante amicizia con Gheddafi: dal giugno 2009 la Lafitrade della famiglia Gheddafi e la Fininvest, tramite la controllata lussemburghese Trefinance, sono i veri proprietari della Quinta Communications di Tarak Ben Ammar. L'affare con la società tunisina, in cui Lafitrade ha il 10% e Fininvest il 22%, ha aperto la strada al riciclo occidentale, a partire dall'Italia, di una massa voluminosissima di petroldollari di Gheddafi, valutata 65 miliardi di euro.
Ma il "Cavaliere"  è storia ormai: affidiamoci a Mario Monti ed alla sua integerrima compostezza. Con buona pace di chi lo accusa di essere la mano armata dei banchieri dei mercati finanziari. La discesa in campo della tecnocrazia è una sconfitta per la politica. Ma non si poteva fare altrimenti causa l'immobilismo degli ultimi 20 anni in cui le riforme son rimaste promesse e il sogno di una Italia diversa, moderna, ispirata a principi di equità è rimasta mera utopia.