L'Italia rivoltata come un calzino. Brutta l'espressione. "Nazionalpopolare", se vogliamo, ma da il senso di cosa sia accaduto nello spazio temporale intercorso tra la chiusura del g20 di Cannes, "l'esplosione" dello spread sui mercati finanziari, le dimissioni (presentate o richieste) di Berlusconi e la formazione di un nuovo governo, quello presieduto dal prof. Monti.
Una successione di eventi che normalmente, in Italia, occuperebbe un arco temporale identificabile in mesi, se non anni. Tutto accade in 2 settimane, invece. Incredibile! Ma vero!
Oggi all'alba della nascita del governo tecnico presieduto da ammiragli, rettori, banchieri, managers e prefetti abbiamo davvero una grande opportunità: l'attuazione di quel piano programmatico di riforme sempre promesso e mai attuato dalla nascita della cosiddetta seconda repubblica nel lontano 1994.
Ora che le forze politiche nemiche da 17 anni sventolano la bandiera della tregua per motivi di "salvezza nazionale", Monti ed il suo governo tecnico hanno l'opportunità del rinnovamento tanto auspicato dai cittadini e sottolineato nei mesi scorsi con le numerose iniziative bollate, forse troppo in fretta e superficialmente con il marchio infamante dell'antipolitica e del qualunquismo spicciolo. Nelle attività ad iniziativa popolare c'era (e c'è), invece, la volontà di una cospicua parte dell'elettorato attivo di trovare la rappresentazione in parlamento non più (o non solo) della propria identità ed ideologia politica, ma l'esplicazione della risoluzione delle problematiche inerenti il vivere quotidiano e la progettazione, attraverso la modernizzazione, di una società più equa, giusta, che velocemente interpreti il moto continuo dell'evolversi della civiltà e del mondo.
Le riorganizzazioni strutturali del paese tanto promesse quanto auspicate riguardano una riforma fiscale organica con l'introduzione di una patrimoniale sistematica, una tassazione almeno del 30% sui capitali illecitamente trasferiti all'estero, una riorganizzazione del mercato del lavoro che elimini il "precariato" restituendo fiducia e dignità ai lavoratori ma nel contempo non penalizzi le aziende che con la loro attività garantiscono posti di lavoro.
Ma occorre anche vendere le grandi aziende statali, i cosiddetti "carrozzoni" che pesano con bilanci passivi da brivido, sulle tasche di tutti noi, la limitazione delle spese militari al minimo necessari per garantire i servizi essenziali di difesa, la monetizzazione del patrimonio indisponibile dello Stato, lo snellimento della macchina dello stato sia nelle funzioni pubbliche che politiche. Naturalmente la prima in questo senso sarebbe la diminuzione del numero dei parlamentari consiglieri ed assessori regionali, provinciali e comunali, dei loro privilegi, l'eliminazione dei vitalizi. Sarebbero solo i primi provvedimenti necessari a riacquistare la fiducia sui mercati finanziari, pronti a finanziare un paese che cerca faticosamente, con sacrificio, la diminuzione del problema primario, l'origine di tutti i mali, il contenimento della spesa pubblica e, contestualmente, la diminuzione del debito sovrano dello stato.
Ma la fiducia va riacquistata prima nei cittadini, nel popolo. Lo stesso popolo che in maniera quasi plebiscitaria aveva investito nel 2008, (ma anche nel 1994 e nel 2001) Silvio Berlusconi dell'onore e dell'onere di attuazione delle riforme necessarie ad affrontare sfide improbe come quelle della crisi economica e recessiva in atto. 
Questo è il momento di attuare le riforme promesse che la politica non ha saputo o voluto, per inettitudine o incapacità attuare. Sbagliato però pensare che la politica (non rappresentata nel governo Monti), non giochi un ruolo fondamentale anche oggi, proprio oggi.
Infatti la legge elettorale è un jolly da giocare da parte del potere politico per riacquistare un minimo di credibilità: restituire al popolo la sovranità "concedendogli" di scegliere ed eleggere, come in un qualsiasi democrazia rappresentativa moderna, i propri rappresentanti in Parlamento sarebbe un passo deciso verso la direzione della equità e della giustizia sociale.
Così come sarebbe vincente il taglio dei costi della politica nel momento in cui i sacrifici per "pagare la crisi" li sostengono essenzialmente le famiglie. A parte le pur importantissime valutazioni riguardo gli aspetti meramente economici è ora che la politica abbia il coraggio di indirizzare forze e risorse verso uno sviluppo scevro dell'ideologismo xenofobo caratterizzante lo scorso governo di impronta leghista. Uno sviluppo che faccia della integrazione degli immigrati la base per disegnare una società moderna, equa, solidale, giusta dove ciascuno, secondo le proprie possibilità, contribuisca alla crescita di tutti.