"Ecco le fatture dei collaboratori di Marrazzo che quotidianamente bevevano champagne nei migliori ristoranti di Roma, gli estratti conto delle carte di credito di cui erano titolari Marrazzo e i suoi collaboratori, con le quali pagavano a spese delle istituzioni la loro cosiddetta ‘attività di rappresentanza’, attraverso le quali prendevano anche contanti, non so bene per fare cosa’’. Lo ha detto la presidente della Regione Lazio Renata Polverini, nel corso di Ballaro’.

Polverini ha ribadito che “tutte le denunce che dovevo fare le ho fatte. A Di Pietro vorrei dire che il suo assessore ai Lavori Pubblici della precedente amministrazione, Maruccio, che aveva assegnato un arbitrato direttamente al suo collega di studio, che era anche presidente di una società regionale fino a pochi giorni fa, ha avuto una denuncia alla Corte dei conti”. La Presidente dimissionaria ha auspicato poi che si voti “il più presto possibile”.

"SI DIMETTANO ANCHE VENDOLA ED ERRANI" - "Io me ne sono andata. E ditelo a quelli di sinistra di andarsene pure loro. Ditelo, perché qui citate Formigoni, Iorio. Ma Vendola dove sta, indagato in due procedimenti? Ed Errani, che ha dato soldi a suo fratello, dove sta?’’. La Polverini lo ha detto, con tono molto acceso, rivolgendosi al vicedirettore di ‘Repubblica’ Massimo Giannini. ‘’E allora - ha aggiunto - sia gentile e corretto, perché io dal 1970 sono l’unica che se ne va per colpe di altri, e sono orgogliosa di averlo fatto. Basta. Non lo accetto più - ha proseguito - di essere sotto processo per cose che non ho commesso. Io con la mia dignita’ torno a essere una privata cittadina, cosa che i suoi amici non hanno fatto. E l’ho fatto lunedì perché ho voluto azzerare il finanziamento, perché nella Regione Lazio il prossimo consiglio dovrà riassegnarsi le risorse. Vada a studiare, Giannini - ha concluso - Anzi: facciamolo insieme. L’aspetto domani nel mio ufficio’’.

Renata Poverini la mattina dopo le dimissioni da governatore del Lazio. Uscendo di casa l'ormai ex governatore del Lazio è stata 'assalita' dai giornalisti. "Non capisco perchè continuate a venire qui, sto cercando di ricondurre una vita normale. Vi prego lasciatemi in pace almeno a casa". Sono queste le parole della Polverini ai microfoni di SkyTg24. "Come ho dormito stanotte? Bene, benissimo", ha detto prima di salire in auto.

Poi ha parlato a Sky tg24. "Comportamenti immorali ai danni della Regione si sono sempre stati anche prima del mio arrivo. Ostriche e champagne venivano gustati prima del mio arrivo. Ribadisco quanto ho già detto: non ci sono comportamenti immorali nella mia giunta. L'uso dei fondi? Non ho avuto sentore di come questi fondi venivano utilizzati.Ma ho chiesto più volte al presidente del consiglio regionale di effettuare una spending rewiev. Ma ero cosciente che quei fondi erano erano troppi. Ho chiesto scusa per responsabilità che non ho. Due anni e mezzo straordinari e difficilissimi". E ha chiuso: "Io non mi sento, sono pulita". Il futuro? "Vedremo, certo non governerò più il Lazio. Il Parlamento? Addirittura! Magari torno a fare una vita privata".

Polverini ha anche rivelato di aver sentito più volte Silvio Belusconi ed è tornata sull'incontro con Monti "Monti non mi ha detto cosa dovevo fare, ho sentito anche Berlusconi che mi ha sempre incoraggiata. Ieri ho informato Alfano, poi Cesa e Casini, poi anche Storace ma la mia decisione era già presa". Non ha fatto polemica con l'Udc: "Non ce l'ho con l'Udc. Li ho sentiti stamattina e non ho problemi con loro".

Intanto a Roma sono comparsi a tempo di record poster. ''Questa gente la mando a casa io. Ora facciamo pulizia!''. Cosi' recitano appunto dei manifesti con l'effige di Renata Polverini stampati a tempo di record a poche ore dalle sue dimissioni e affissi per le strade di Roma. Nei poster si vede il volto serio della Polverini, con l'espressione grintosa che guarda dritto negli occhi il suo ipotetico interlocutore. Il manifesto riporta il simbolo della fondazione Citta' Nuove ed e' firmato, in corsivo, Renata.

Poi la Polverini ha passato una mattinata di impegni in ufficio per espletare le funzioni ordinarie della sua carica dopo che ieri ha rassegnato le dimissioni da Presidente della Regione Lazio. Renata Polverini si è chiusa nelle sue stanze con i suoi fedelissimi, l'assessore al bilancio Cetica, il segretario generale Ronghi e il capo di gabinetto Zoroddu. Uno dei primi a vederla Francesco Storace, leader de la Destra, che -ieri ha ricordato Polverini- ''in questi giorni ha sofferto con me''.

Ed è già un diluvio di dichiarazioni. Il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, afferma che Polverini "si è dimessa per colpe non sue". Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno: "A me dispiace. Questo e' il giorno della tristezza, dell'amarezza e della riflessione. Renata paga il prezzo di una situazione di sistema per tutto quello che e' avvenuto e' stato condiviso da tutti i gruppi consigliari in Regione, sia di maggioranza che di opposizione''. E chiede le primarie anche per il candidato Pdl in Regione.Renata Polverini vinse le elezioni regionali nel Lazio grazie al voto di quelle province che hanno spedito in Consiglio regionale i vari Fiorito, Battistoni, Abruzzese, De Romanis. Gli stessi che, ingrata e dimentica, lei oggi definisce «indegni», «malfattori», «personaggi da operetta». Gli stessi che per tutto questo tempo hanno garantito quella maggioranza che le ha permesso di governare e spadroneggiare. Certo, tutto ciò aveva un costo: un costo in senso proprio, le cospicue prebende elargite attraverso la progressiva distribuzione di finanziamenti pubblici ai gruppi consiliari.
Ecco perché il tentativo di smarcamento dell'ex presidente, il suo inacidito distanziarsi dal girone della corruttela, non sembra convincere nessuno. Tutti (e lei di più) erano consapevoli che la Regione Lazio si reggeva in virtù di un rapporto di scambio, un patto non scritto ma allegramente agito: i potentati del Pdl garantivano la tenuta dell'amministrazione, a condizione di poter contare su denaro pubblico da gestire privatamente.
Insomma uno schietto cacio e pepe, dove era chiaro chi metteva il pepe e chi portava il cacio.
Un sistema di potere che in fondo funzionava in modo semplice: dritto per dritto. Un do ut des non proprio elegantissimo, neanche particolarmente raffinato, ma indubbiamente efficace. Del tutto coerente, peraltro, con l'impudico profilo di chi tutto questo gestiva: gente sbrigativa e disinvolta, personaggi che interpretavano il proprio ruolo istituzionale come una pura e semplice opportunità accumulatoria e l'assemblea elettiva di cui facevano parte come il cortile (o l'orto) sotto casa.
C'è tuttavia qualcosa di più, in questa storiaccia laziale. C'è anche la caduta rovinosa di un modello culturale. Sguaiato e pacchiano quanto si vuole, ma pur sempre, fino a qualche tempo fa, vincente e convincente. Un insieme di suggestioni e significanti che Polverini e Alemanno hanno largamente diffuso, in sintonia con un senso comune che, a sua volta, corrispondeva positivamente. La coda alla vaccinara consumata in piazza Montecitorio era un linguaggio che raggiungeva molto più di quanto si pensasse. Così come cavalcare il parapetto della curva nord dell'Olimpico, così come cantarellare le canzoni di Lucio Battisti ai comizi o insultare gli avversari in piazza («Zecca di merda»).
Uno stile politico che rifuggiva ogni intento pedagogico o di compostezza civica o di richiamo a responsabilità pubbliche. Ma direttamente confuso, anzi in amalgama, con una quotidianità sgrammaticata e rilassata, che consentiva smagliature e perfino trasgressioni. «Semo gente de borgata». Siamo come voi, ci arrangiamo come possiamo, furbastri, ignorantelli e un po' mascalzoni.
Ed è in assoluta continuità con quest'impronta («antropologica», la definiva ieri Alberto Burgio) che i consiglieri regionali passavano da una cena all'altra e organizzavano feste da basso impero. E lo stesso succede ancora a Roma, con le terrificanti sfilate di centurioni e fasci littori o con quel penoso Carnevale per le vie del centro.
Insomma, il popolo come plebe a cui concedere, di tanto in tanto, qualche innocuo svago. Mentre il potere, paterno e consolatorio, vede, provvede e ingoia. Come quando a Roma c'era il papa re. E a ben rifletterci è un po' così che la destra ha governato. Un ritorno a quei patetici fasti, con Francone Fiorito nei panni del Marchese del Grillo.
E' già cominciata nel frattempo la lotteria politica che dovrà designare il nuovo presidente dell'ex Stato pontificio. Già in molti invocano l'arrivo del generale Cadorna a Porta Pia. Meglio sarebbe ripristinare la Repubblica Romana di Mazzini e Garibaldi.