Siccome subito dopo il via libera della Corte costituzionale di Karlsruhe alle decisioni già votate dal Bundestag il famoso spread si è immediatamente abbassato, tutti hanno tirato un respiro di sollievo e inneggiato al vellutato funzionamento delle istituzioni europee:la Corte si è piegata alla volontà parlamentare e il parlamento tedesco si era a sua volta mosso all'unisono con quello europeo. Non si può dar torto a chi si è entusiasmato: se le cose fossero andate diversamente nell'immediato sarebbe stato un bel guaio.
E però a condizione che l'entusiasmo sia moderato. Anzi moderatissimo. Innanzitutto perché le misure avallate dalle istituzioni europee e germaniche alla lunga serviranno poco. In secondo luogo perché, sebbene questa volta ci sia stato un intervento nel processo decisionale un po' più corale e trasparente, non possiamo scordarci che la Corte di Karlsruhe ha legittimato decisioni pur sempre assunte da esecutivi sottratti al controllo democratico e per questo aspramente contestate. Solo che bisogna intendersi sul cosa si contesta. Non - come qualche volta sembra di capire - la lesione, in nome dell'Europa, della sovranità nazionale, quanto il fatto che essa viene perpetrata da un potere privo di validazione democratica (e anche da questo dipende il contenuto antipopolare delle norme emanate).
Quanto non si è ancora ottenuto, e anzi si è finito per neppure rivendicare più, è la democratizzazione dell'Unione, sempre acriticamente accettata dagli uni così come è, o invece da altri rigettata come entità irriformabile, mai immaginata come qualcosa che potrebbe essere diversa da come è stata costruita.
Di democratizzazione dell'Unione, è vero, si scrive molto. E però sempre avendo in mente un bel parlamento europeo dotato di poteri pieni analoghi a quelli delle assemblee elettive dei suoi stati membri. Benissimo: ma il parlamento europeo non potrà mai avere potere democratico se non esiste una sua controparte democratica, vale a dire un governo che gli risponde e che risponde ai suoi elettori. Ma perché questo ci sia occorre una opinione pubblica comune;che ogni membro dell'esecutivo (commissario o rappresentante di un governo) risponda a tutti i cittadini dell'Unione e non solo ai suoi connazionali. Voglio dire che se non c'è una unica circoscrizione elettorale, nessun paese se la sentirà di riconoscere autorità a un esponente di un altro paese. Scriveva Eric Hobsbawm che ognuno riconosce, sia pure a denti stretti, la legittimità di governo di un opposto schieramento politico a livello del proprio paese, ma non è disposto a fare altrettanto se questo governo è composto da "stranieri" ancorché comunitari.
Se le cose stanno così, e credo che lo siano, è perché non si è mai posto mano seriamente è alla costruzione della società europea. Proprio la Corte costituzionale tedesca, che è istituzione attenta e intelligente, aveva emesso una sentenza di incostituzionalità per il Trattato di Maastricht, architrave dell'Unione, approvato all'inizio degli anni '90. Perché- diceva il verdetto - non essendoci a livello europeo né partiti, né sindacati, né organismi espressi dalla società civile, né media comuni, essenziali per la necessaria mediazione fra cittadini e stato, non poteva esserci democrazia. La sentenza Grimm (dal nome del giudice che la firmò) fu poi addolcita e la Germania restò membro dell'Unione nonostante Maastricht. Sarebbe ora di tornare sull'argomento: se non c'è cultura, e cultura politica comune, e movimenti, non è neppure prevedibile solidarietà. Già è difficile all'interno dei singoli paesi, figuriamoci fra la Finlandia e la Grecia!
Resta il problema di come si costruisce una sinistra europea. La premessa è l'unificazione democratica, il contrario delle decisioni autoritarie. E bisogna dire che i nuovi movimenti sono stati ben più europei delle istituzioni.