"E' tutto un magna magna", locuzione popolare, dal gusto vagamente retrò ed espressione di una demagogia dilagante, populista sicuramente che però meglio di altre riassume e traduce dalla metafora alla manifestazione empirica il sentimento anti-politico che alimenta pensieri e pareri dell'opinione pubblica italiana alla luce delle recenti vicissitudini che partendo dalla regione Lazio hanno investito la politica intera. Un nuovo caso "Lusi" che dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, come il sistema si auto alimenta ed auto governa, coinvolgendo tutte le forze politiche (il classico così fan tutti!),  attingendo direttamente dai fondi pubblici per spese folli e costosi sollazzi  incuranti della crisi economica, delle difficoltà delle famiglie ad arrivare a fine mese e di cercare o mantenere un posto di lavoro nella precarietà del vivere quotidiano.


«Chiedo scusa a tutti, ai cittadini del Lazio, a tutta la politica onesta, alle istituzioni, alle altre regioni, alle famiglie che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese, agli operai della Fiat, ai media e alla mia famiglia». Così Renata Polverini, presidente della Regione Lazio ha aperto lunedì pomeriggio la seduta straordinaria del consiglio regionale convocata in seguito allo scandalo dei fondi Pdl scoppiato pochi giorni fa. Ha minacciato di andarsene, ma non si è dimessa: «Purtroppo ho appreso che non può essere immediatamente (riferendosi ai passaggi burocratici in caso di dimissioni, ndr), altrimenti sarei venuta qui in ciabatte e poi me ne sarei andata al mare». In tarda serata il consiglio ha approvato un ordine del giorno su riduzione costi. Il commento del capogruppo Pd Montino: «La montagna ha partorito un topolino».

Una chiamata a raccolta collettiva quelal della presidente Polverini: «Non tutti abbiamo sbagliato allo stesso modo. Ma siamo disponibili a dare l'esempio. L'antipolitica siamo noi se non cambiamo. Non dobbiamo continuare a pensare che la battaglia è tra la giunta e il consiglio. L'istituzione è una, o c'è consapevolezza di questo, nel rispetto di maggioranza e opposizione, o non c'è n'è per nessuno». In quanto al caso Fiorito ha detto «la Regione si costituirà parte civile».
«Se non c'è alternativa ce ne andiamo tutti a casa. Se la sfida che oggi lancio verrà accolta andremo avanti altri due anni e mezzo, altrimenti ci saluteremo stasera». Polverini ha fatto un riferimento alla Concordia («O superiamo questo scoglio o siamo come la Concordia e ci sfracelliamo») e citato il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, asserendo che la sfida deve essere «fatta adesso».
«Quello che è accaduto alla Regione Lazio è una catastrofe paragonabile all'alluvione di Firenze», ha esordito la governatrice. «Sono qui per dire basta - ha detto -. Sono qui per dire che, a prescindere dal momento storico, questo atteggiamento è considerato dai cittadini insopportabile e indecente. Il Lazio non è una regione qualsiasi ma è la regione dove c'è la Capitale, dove si è consumata la storia del nostro Paese, dove vive e lavora la classe dirigente dell'Italia. Credo - ha proseguito la Polverini - che nel tentativo di spalare fango, con distinguo, ci siamo mostrati ancora più inadeguati di quanto le persone pensino. Noi dobbiamo non solo spalare fango ma fare di più. Come nel caso dell'inondazione di Firenze. Quanto è accaduto è una catastrofe per la politica, per l'Italia e per le istituzioni. A Firenze si è spalato ma si è costruito anche un argine».


Taglio delle commissioni consiliari, degli assessori, delle auto blu e addio alle somme per i gruppi consiliari. Sono i punti salienti del pacchetto di tagli presentato da Polverini. Il Consiglio regionale in tarda serata approva l'ordine del giorno della maggioranza sulla riduzione dei costi con 41 voti favorevoli e 26 astenuti (3 consiglieri assenti). «Il Consiglio regionale del Lazio, aderendo alle dichiarazioni della presidente della Regione, impegna la giunta regionale e il presidente del Consiglio regionale a presentare entro 7 giorni una o più proposte di carattere statutario, legislativo o regolamentare volte a realizzare», tra le altre cose, «il dimezzamento delle commissioni consiliari e la cancellazione delle commissioni speciali; il dimezzamento delle somme destinate al rapporto eletto/elettore; l'azzeramento dei contributi destinati alle attività dei gruppi consiliari e la sospensione di quelli per il solo funzionamento dei gruppi consiliari fino all'introduzione di un sistema trasparente di certificazione e controllo delle somme allo scopo destinate». Polemica l'opposizone: «Alla fine la montagna ha partorito il solito topolino» ha dichiarato il capogruppo regionale del Pd Esterino Montino, «la Polverini resta, restano i vitalizi ai suoi sodali che in trent’anni ci costeranno quasi 20 milioni di euro e i suoi 14 assessori esterni che pesano sulle tasche dei cittadini per 5 milioni l’anno. Restano le indennità per tutte le cariche, i rimborsi chilometrici, restano le consulenze. Gli unici tagli riguardano i fondi per i gruppi, su cui siamo d’accordo, lo scioglimento dei monogruppi, su cui non potevamo che essere d’accordo visto che lo chiediamo da tempo. L’ordine del giorno delle opposizioni che prevedeva il taglio dei privilegi più insensati, infatti, è stato bocciato. Peccato, si è persa una grande occasione per procedere a un taglio vero dei costi della politica».

Polverini ha anche citato l’agenzia Fitch che «ha confermato il rating della Regione Lazio a lungo termine in AA-, con outlook negativo che ha seguito il declassamento per l’Italia, e a breve termine F2. Inoltre ha confermato che il disavanzo è passato da 1,4miliardi a 750milioni». La Polverini ha anche ricordato che «i costi della mia giunta sono scesi di 71milioni».

Nel suo discorso la presidente del Lazio ha poi fatto riferimento ai suoi recenti problemi di salute. «I tumori che stanno qua dentro come nella mia gola vanno estirpati, oggi. Non intendo nella maniera più assoluta mantenere questa regione nello stress comunicativo che non permette di dire cosa faremo di buono». Polverini ha poi chiesto scusa anche alla sua famiglia: «Voglio chiedere scusa alla mia famiglia, trascinata in gogne mediatiche perché ho messo a disposizione il mio impegno personale per la Regione. Chiedo scusa alla mia famiglia perchè ho dovuto farmi togliere due tumori alla tiroide... E non li ho potuti neanche avere vicino quando sono stata operata in quel Grand Hotel - ha detto ironicamente - che è l'ospedale Sant'Andrea».

E' un quadro politico e umano contrastante quello tratteggiato dalle cronache degli ultimi giorni. Un gioco di opposizioni inconciliabili, che danno vita ad una commedia dell'arte ove si intrecciano, in un ritmo serrato e quasi teatrale, ruoli, caratteri e azioni tipiche.

La grossonalità e l'arroganza impudente del consigliere Franco Fiorito, emblema di un sistema politico regionale ormai logoro, si scontrano con la vergogna e la mortificazione del Presidente della Giunta, Renata Polverini. Lo slancio propositivo e lo scatto d'orgoglio, nella parte finale del lungo discorso di ieri, a voler riscattare e rivendicare la propria dignità e della Regione tutta, si mescolano, senza amalgamarsi, ai fatti. Rendendo il contrasto dolente.

Renata Polverini ha chiesto scusa a tutti. Ai cittadini, della propria regione e dell'intero Paese, alla politica perbene, alle Istituzioni, finanche agli operai Fiat dello stabilimento di Cassino.
Ha implorato il perdono collettivo per l'ennesima “catastrofe della politica italiana”: un sofferto 'mea culpa' che non cancella l'orrendo spettacolo né l'arrogante derisione con cui l'ex capogruppo del Pdl, Franco Fiorito, ha ammesso di aver sottratto ingenti somme di denaro pubbliche per altri scopi, molto distanti dall'impegno politico. ( al Fatto quotidiano ha confessato di aver comprato un Suv Bmw da 88 mila euro, perchè “di quella macchina ne avevo davvero bisogno”)

Ha chiesto scusa, ha fatto ammenda delle colpe di alcuni membri non immacolati del Consiglio. Si è vergognata e umiliata, ma mai quanto i cittadini della sua Regione, ben prima di lei.
Le scuse, infatti, questa volta non bastavano. Non erano sufficienti. Non dovevano esserlo.
Di fronte alle ammissioni di Fiorito ai giornali e agli inquirenti, che lo accusano di peculato, il Presidente doveva dimettersi.
Doveva prendere le distanze politicamente e moralmente da uno scandalo, maturato alle sue spalle nel corso di due anni di legislatura, che non ha saputo impedire, con la giusta e diligente vigilanza, né stigmatizzare sufficientemente.

Le dimissioni di Renata Polverini erano doverose - il passo necessario - anche perchè “l'affaire Fiorito” evidenzia un profondo problema politico: l'inequivocabile assenza di leadership politica del Presidente della Giunta, incapace di esprimere una guida forte e carismatica, di indirizzare autonomamente la linea programmatica e di decidere con autonomia e discrezionalità.
Alle spalle del Presidente, per due lunghi anni, si sono tessute le sottili trame della politica locale, si sono scontrati interessi e convenienze di partito, dinnanzi alle quali nulla ha potuto, perchè nulla poteva.

Le dimissioni erano l'unica chance di uscire a testa alta, prendendo le distanze e rivendicando la moralità del proprio operato, da giochi di Palazzo ormai divenuti per Lei incontrollabili. Ed erano il passo necessitato anche perchè aveva il dovere di assumersi la responsabilità politica e oggettiva di quanto accaduto in seno al gruppo consiliare, di cui non è leader, ma espressione.

Ha prevalso invece la collaudata “strategia dell'emergenza”, cui il nostro Paese da decenni è abituato. Il vertice politico, responsabile, anche moralmente, dell'operato delle Istituzioni che guida e controlla, prende atto, dell'emergenza come dello scandalo, e agisce di conseguenza.
Dopo. Sempre dopo.
Non conta, si giustificheranno, chiedersi come mai nessuno si fosse accorto di alcunchè, data la vastità delle malefatte, né tantomeno interrogar loro se avessero potuto attivarsi prima. Non importa cosa si poteva fare prima, risponderanno, secondo un copione noto, pronti ad agire subito dopo.
Così si è agito anche in Regione Lazio.

Delle due l'una: o il Presidente Polverini non ha potuto arginare né porre rimedio allo scandalo che montava, perchè lasciata sola e incapace di esprimere una leadership adeguata; oppure non ha avuto il minimo sentore, né sospetto di quello che accadesse alle spalle dei cittadini e dell'ufficio di Presidenza.
Comunque siano andate le cose, la scelta obbligata coincideva con le dimissioni: nel primo caso, prendendo atto di fronte agli elettori del Lazio di non aver saputo onorare il mandato elettorale; nel secondo caso per una responsabilità politica e oggettiva.

Si è preferito imboccare, invece, la via più piana. La vergogna e la mestizia iniziale sono state scalzate dal tono duro e deciso del vecchio leader sindacale, propositivo ed efficace.
Ma non basterà il cambiamento del tono, davanti alle telecamere, per segnare davvero un nuovo corso. Gli uomini e i mali della Regione restano lì. A guardare.
La nettezza del suo aut aut ( o si approvano i tagli – dopo lo scandalo, non considerando i denari pubblici già perduti – o mi dimetto) non ha convinto nessuno. Era fuori tempo massimo.
Negli altri paesi funziona diversamente: da un fatto che mina la credibilità delle Istituzioni se ne traggono immediatamente le conseguenze.
Il braccio di ferro tra Polverini e il Pdl, finirà per spezzare la prima, sempre più sola. E le ripercussioni sull'agenda di governo si faranno presto sentire.
Non passerà alla storia questo Consiglio regionale. O meglio, forse sì, ma segnerà una pagina, che i cittadini del Lazio avrebbero preferito strappare.