L’avevano inserito nel Decreto “Sviluppo” (DL 1/2012 del 24 gennaio 2012) quel nuovo articolo 2463 bis relativo alla Società a responsabilità limitata semplificata (Srls),perché, da buoni professori, ritenevano che lo Sviluppo economico si facesse per decreto. Capitale sociale minimo di 1 euro, soci di età non superiore a 35 anni, e con questo si poteva replicare la Silycon Valley: giovani innovativi, coraggiosi e venture capital a go-go. A parte il fatto che si è dovuto attendere il 29 agosto per vedere pubblicato il Decreto del Ministro della Giustizia, emanato il 23 giugno, che dettasse il testo dell’atto costitutivo standard della Srls ovvero si è lasciato trascorrere 7 mesi affinché un decreto-legge, immediatamente esecutivo, potesse essere applicato; a parte il fatto che le spese minime di costituzione ammontano a 368 euro (168 di imposta di registro e 200 per diritti del Registro delle Imprese), avendo previsto che il notaio lavori a titolo gratuito, abbuonando ben 246 euro per imposta di bollo e diritti di segreteria (previsti nelle altre SRL); ci si è infine dimenticati di attivare quel minimo di supporto affinché questi nuovi imprenditori potessero godere di un minimo di “garanzie” perché altrimenti con questa Società che ci fanno?

Considerando scandaloso il tempo trascorso improduttivamente gioverebbe domandare ai legislatori (Governo e Parlamento, passando per un Capo dello Stato) dove mai troverebbero i soldi, i costituenti tali società per pagare le spese minime di costituzione? Se la forza propulsiva dell’impresa, così legalmente costituita, è rappresentata dalle idee e dalla volontà di lavoro, il minimo sindacale per cominciare a lavorare chi lo paga? La risposta la danno due sorelle di Corsico, Stefania e Serena Pasquali, studentesse universitarie in psicologia, di rispettivamente 22 e 20 anni, che hanno costituito la prima SRLS in Italia con un atto “standard” redatto dal notaio di famiglia (genitori imprenditori) , che vogliono aprire una catena di negozi in franchising per la vendita di oggettistica per la casa, di design. Intanto aspettano che il loro commercialista torni dalle ferie per aprire la partita IVA ed iniziare l’avventura de “La casa delle fate srls”.

Il caso è emblematico: intanto il capitale sociale non copre neppure le spese (si poteva rinunciare a 368 euro?), occorre un notaio compiacente a lavorare a titolo gratuito, dopodiché occorre anche un commercialista (anche lui lavorerà gratuitamente?) perché per gli adempimenti fiscali si preferisce rivolgersi ad un professionista piuttosto che ad uno sportello dell’Agenzia delle Entrate che potrebbe indicare cosa bisogna fare ed agevolare un sano ed economico “fai da te”. Infine l’attività: il commercio non è una tipica attività innovativa ad alto valore aggiunto. Approssimandosi a diventare psicologhe non vediamo l’attinenza con il design. Otterranno credito dai fornitori? Un minimo di attrezzatura, locazione locali o altro li dovranno pur realizzare? Perché terzi (banche e fornitori) dovrebbero far credito ad una attività nella quale neppure i soci intendono rischiare, se non un simbolico euro? Se la risposta delle Banche, Confidi, Finanziarie o altro è abbastanza scontata (fidejussione dei genitori se non addirittura pegno) quella dei fornitori potrebbe iniziare con un pagamento alla consegna della merce, se non vi sono presentatori o garanti solvibili. Tutto fuorché un finanziamento alle idee imprenditoriali.

Anche questa della SRLS è un’occasione sprecata, buttata nel Codice civile per fare scena senza alcun radicamento o strategia di politica economica. Non sarà da meravigliarsi che questa tipologia societaria sarà sfruttata dalla criminalità organizzata per le proprie ramificazioni: tra le loro fila giovani non mancano e i capitali si possono impiegare in attività più redditizie anziché pagare bolli e notai!

E questo riguarda solo l'apertura della nuova attività imprenditoriale. Ma cosa accade quando ci presentiamo a chiedere liquidità presso un Istituto di Credito per l'avviamento dell'impresa?  ”Per le norme imposte dalla Banca d’Italia – spiega Ranieri Razzante, presidente dell’Associazione Italiana Responsabili Antiriciclaggio (Aira) e consulente della Commissione Parlamentare Antimafia – non esiste alcun istituto che possa finanziare un’impresa con un capitale sociale di un euro. Le istruzioni di Vigilanza di Bankitalia, infatti, prevedono un rapporto stretto tra gli affidamenti (i soldi prestati dagli istituti alle imprese, ndr) e le garanzie patrimoniali, costituite dal capitale sociale e dai fondi di riserva (cosiddetto “patrimonio netto”, ndr). Se a queste garanzie si aggiungono quelle fideiussorie, non si capisce come questo tipo di società possa ottenere credito, soprattutto se si tratta di start-up costituite da giovani”.

Un altro pericolo da non sottovalutare riguarda anche e soprattutto le infiltrazioni mafiose: “l'allarme – prosegue Razzante, che è anche docente di Legislazione Antiriciclaggio presso l’università di Bologna – riguarda il finanziamento all’impresa da parte della mafia, sia come forma di prestito ad usura, con fatture apparentemente legali verso aziende criminali collaterali di comodo cui si pagheranno le forniture, sia come socio occulto in un’azienda guidata da un insospettabile. Un allarme di questo tipo è stato lanciato anche da diversi magistrati antimafia”.

E la questione del capitale è fondamentale, “poiché si possono richiedere prestiti per i macchinari e le attrezzature utili a far partire una società solo con un capitale sociale di garanzia: avere un euro nelle casse dell’azienda equivale a chiedere un prestito ed essere disoccupati. Nel provvedimento – aggiunge – non si parla invece di agevolazioni creditizie, norma che avrebbe dovuto essere prevista nel documento, con il Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese o attraverso i Confidi garanti delle società presso le banche”.
I controlli di legalità. Ma Ranieri Razzante sottolinea anche “l’assenza di controlli di legalità da parte dei pubblici ufficiali, visto che gli atti costitutivi non avranno forma obbligatoria. Assenza che non consentirà, tra l’altro, alcun controllo antiriciclaggio, previsto dalla normativa a carico dei notai quando si trovano a trattare operazioni sospette”.

Quale guadagno per lo Stato?E la questione riguarda anche gli introiti che lo Stato dovrebbe incassare una volta avviate queste società. “Le aziende a un euro sono veri e propri mostri giuridici che non porteranno soldi nelle casse dello Stato: quale volano di economia si dovrebbe creare attorno a queste imprese tale da permettere fatturati tassabili?”. E infatti, sebbene in capitale sociale previsto sia irrisorio, la tassazione sarebbe tutt’altro che agevolata. Le società a un euro, aggiunge Razzante, “non potranno partecipare ad alcun appalto per cui è previsto un capitale sociale minimo. E in un periodo in cui chiudono piccole e medie imprese davvero ci si aspetta che aprano e sopravvivano società con un euro di capitale sociale? Ai tecnici la risposta”.

Infine, chi ha dovuto costituire spa o srl, si troverà concorrenti con capitale a un euro, “un particolare che va contro la libertà di impresa. E si tratta – conclude Razzante – di osservazioni tecniche, non politiche, nei confronti di un Parlamento che ha approvato senza obiezioni una forma societaria che non può esistere”.