La Fiat archivia il piano "Fabbrica Italia" con cui due anni fa aveva promesso 20 miliardi di investimenti in cinque anni nellaPenisola e l'ad Sergio Marchionne, insieme al presidente John Elkann, finisce sotto attacco del patron di Tod's Diego della Valle: «Il vero problema della Fiat non sono i lavoratori, l'Italia o la crisi (che sicuramente esiste): il vero problema sono i suoi azionisti di riferimento e il suo amministratore delegato. Sono loro che stanno facendo le scelte sbagliate».

Diego Della Valle attacca Sergio Marchionne e il presidene di Fiat, John Elkann.

Il problema - dice il patron di Tod's - dell'azienda non sono affatto "i lavoratori, l'Italia o la crisi". Il problema vero "sono i suoi azionisti di riferimento e il suo amministratore delegato. Sono loro che stanno facendo le scelte sbagliate".

Della Valle punta il dito sull'inadeguatezza di Marchionne, dicendo così la sua sulla vicenda Fabbrica Italia, e non perde occasione per levarsi qualche sassolino dalla scarpa. "Continua questo ridicolo e purtroppo tragico teatrino degli annunci ad effetto da parte della Fiat, del suo inadeguato Amministratore Delegato e in subordine del Presidente", si legge nella nota di Della Valle, che aggiunge: "Assistiamo infatti da alcuni anni a frequentissime conferenze stampa nelle quali, da parte di questi Signori, viene detto tutto e poi il contrario di tutto, purché‚ sia garantito l’effetto mediatico, che sembra essere la cosa più importante da ottenere". Marchionne e Elkann, a sentire Della Valle, "hanno superato ogni aspettativa riuscendo, con alcune righe - quelle del comunicato rilasciato oggi - a cancellare importanti impegni che avevano preso nelle sedi opportune nei confronti dei loro dipendenti, del Governo e quindi del Paese". Insomma, i vertici di Fiat non terrebbero conto del fatto che il "Paese alla Fiat ha dato tanto, tantissimo, sicuramente troppo". Da "furbetti cosmopoliti" si limiterebbero a scaricare altrove le responsabilità, ma "sappiano che gli imprenditori italiani seri, che vivono veramente di concorrenza e competitività, che rispettano i propri lavoratori e sono orgogliosi di essere italiani, non vogliono in nessun modo essere accomunati a persone come loro".

"Espressioni come quelle usate da Diego sono assolutamente inaccettabili e non dovrebbero mai far parte di una dialettica tra imprenditori", ha sottolineato Luca Cordero di Montezemolo. "Di tutto abbiamo bisogno in questo momento - ha, poi, aggiunto Montezemolo - ma non di polemiche che non appartengono alla cultura imprenditoriale e che fanno male al Paese. Tanto più che coinvolgono imprenditori che in settori diversi affrontano una difficile competizione su mercati mondiali". La Fiat, ha affermato ancora Montezemolo, "da una situazione di gravissima crisi, ha compiuto con successo un percorso difficile che l’ha portata a rafforzare la sua presenza internazionale, fondamentale per la sua sopravvivenza". Montezemolo si è augurato che "questa assurda situazione possa ritrovare immediata ricomposizione, trattandosi di persone di qualità verso le quali nutro stima e amicizia".

L'annuncio della volontà di Fiat di rivedere il piano per lo sviluppo degli stabilimenti di Fabbrica Italia indispone anche il ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, che chiede "tutti i chiarimenti che sono necessari in casi come questi" e di "approfondire il tema".

È stato formalmente corretto da parte del presidente Monti, e coerente con il personaggio, lasciare fino a questo momento la Fiat libera di elaborare le proprie strategie e compiere le proprie scelte industriali. Contatti frequenti ma informali, nulla di più: Monti non sarebbe Monti se si mettesse a dirigere gli imprenditori privati da palazzo Chigi.
Ora però è evidente che l’apparente distacco del governo verso le mosse di Marchionne s’è fatto insostenibile. L’annuncio dell’abbandono del progetto Fabbrica Italia era largamente prevedibile, ma la nota di corso Marconi imprime un timbro terribile all’autunno della nostra economia reale. Impossibile non vedere l’impatto nefasto che questa notizia avrà sulle relazioni industriali, sull’atteggiamento dei sindacati, sulla fiducia dei consumatori e soprattutto sulla serenità dei lavoratori e delle famiglie.
Certo, i dati della crisi europea dell’auto sono spaventosi, e Fiat regge ancora solo grazie alle vendite americane di Chrysler. Marchionne può non essere costretto a tenere aperti tutti i suoi stabilimenti, però deve essere costretto a raccontare la sua storia e i suoi nuovi programmi al governo: un governo che s’è molto esposto, insieme a chi lo appoggia in parlamento, per creare un quadro di regole del lavoro diverse, più flessibili e, almeno nelle intenzioni, più utili a chi deve fronteggiare crisi di mercato.
È stato tutto inutile? Ed è stato inutile stressare il paese con quei referendum di fabbrica che divisero operai e sindacati, costringendo tanti politici (soprattutto del Pd) a dire ai propri elettori alcune amare verità (almeno tali le si considerava all’epoca) sull’opportunità dello scambio fra diritti e occupazione?
Intorno al management Fiat si sta scatenando una tempesta interna al padronato, annunciata dal tuono di Della Valle. Questo con la politica non c’entra: non spetta a lei licenziare i capi azienda. Ma chi fra governo e mondo politico s’è assunto al tempo la difficile responsabilità di sostenere lo sforzo della Fiat, oggi ha più diritto di chiunque altro di volere Marchionne a Roma per fare un po’ di conti.

Ma era tutto troppo facilmente prevedibile: dal referendum a Pomigliano e Mirafiori, al piano investimenti suffragato dal governo Berlusconi, alla promessa di nuove commesse, rimasta tale. Oggi ci si accorge del fallimento di un piano, Fabbrica Italia, sbandierato, pubblicizzato, enfatizzato e mai partito. Tutto previsto nel cinico gioco del manager italo-canadese e del compiacente governo italiano. E, come previsto, chi ci rimette è sempre l'anello debole, i lavoratori che vedono frustrate aspettative e speranze. 
Se si continua pedissequamente a sacrificare diritti acquisiti ed il benessere conquistato in anni di lotta e lavoro pur di salvare un sistema economico che oggi più che mai mostri limiti, incongruenze, foriero di ingiustizia e diseguaglianze sociali continueremo ad assistere allo smantellamento del sistema industriale ed economico di paesi una volta, potenza economica. 
Il capitalismo e le sue contraddizioni ci hanno portato fin qui: nel vortice di un uragano chiamato "la più grande crisi, economica, finanziaria e sociale" di sempre! Se non si capisce e si cambia il fallimento non sarà uno spettro, ma realtà.