Nel 2012 potrebbero cessare l'attività fino a 150 mila imprese La previsione di Confcommercio per quest'anno è di un calo del 3,3% dei consumi pro capite, peggiore rispetto al 2011


C'è poco da essere ottimisti. Se agosto non ha portato la temuta tempesta sui mercati ha però confermato il peggioramento del clima di fiducia delle famiglie e il prolungamento della recessione. E non c'è da stupirsi che a temere l'autunno siano soprattutto i negozianti alle prese con le stime di un'ulteriore caduta dei consumi. La Confcommercio indica un calo per il 2012 del 3,3% procapite. Un dato, rileva il direttore dell'Ufficio studi Mariano Bella, senza precedenti e certamente più negativo di quello registrato lo scorso anno quando a causa della crisi, secondo i calcoli della Confederazione dei commercianti, sono state costrette a chiudere i battenti oltre 105 mila imprese commerciali, di cui 62.477 punti vendita al dettaglio. Il saldo tra le nuove attività messe in piedi e quelle cessate è stato negativo per oltre 34 mila unità e guardando ai soli negozi la differenza, sempre in negativo, è stata di 18.648.

Nel 2012 dunque, visto il perdurare della diminuzione dei consumi, le cose non cambieranno certo in meglio. Anzi. Pur nella difficoltà di fornire stime e dati in questo settore, la differenza tra imprese nate e cessate dovrebbe far registrare un probabile peggioramento rispetto all' andamento del 2011: da 18 a 20 mila nel solo comparto delle vendite al dettaglio. Cosa che vorrebbe dire la chiusura, nel corso d'anno, di 65 mila negozi.

Nel settore commerciale nel suo complesso, comprese quindi le aziende all'ingrosso e quelle di vendita di auto e moto, la cessazione delle attività potrebbero superare il numero di 105 mila e secondo qualcuno arrivare anche a 150 mila, con lo strascico inevitabile e doloroso della perdita di nuovi posti di lavoro.

I consumi continuano a calare, avvertono dunque le associazioni dei negozianti, anche se in misura minore di quanto si siano ridotti i redditi. Perché le famiglie destinano alle spese quotidiane un quota sempre maggiore dei rispettivi budget e perché sono più attente al rapporto prezzo-qualità dei beni che acquistano. Ma col perdurare della crisi aumenta il peso dell'incertezza sul futuro, la paura di perdere il lavoro e di veder diminuire il potere d'acquisto dei propri salari e stipendi. In attesa che l'economia si riprenda e si avvii nuovamente alla crescita.

C'è però un segnale nuovo, ancora tutto da valutare, nel mondo del commercio. Di fronte al declino delle attività di vendita tradizionali - dall'alimentare all'abbigliamento all'arredamento - si consolida la tendenza ad intraprendere altre strade. «È la disoccupazione a dare la spinta e l'intraprendenza necessaria a mettersi sul mercato» commenta Mauro Bussoni, vicedirettore generale della Confesercenti segnalando il fenomeno che però riguarda soprattutto il terziario e i servizi alla persona. Sono nate infatti molte imprese anche piccole di assistenza sanitaria, trasporti, consegne a domicilio, riparazioni, informatica e di parrucchiere, dove sembra siano impegnate soprattutto le comunità cinesi. Un fiorire di mestieri che confermano la tendenza alla terziarizzazione del commercio e compensano in qualche modo la riduzione delle attività più tradizionali, a partire dai piccoli esercizi nei centri storici delle città.

Spesso commentatori, critici, giornalisti ed esperti di economia sottolineano la scarsa competività internazionale delle piccole e medie imprese italiane evidenziandone le troppo ridotte dimensioni per raccogliere la sfida competitiva globale e la scarsità degli investimenti nell'innovazione e nella ricerca. Vorrei ricordare che all'estero l'accesso al credito è semplificato e che i piani di programmazione industriale e di sviluppo economico vantano tra le voci di spesa il finanziamento ed il sostenimento, (anche attraverso il finanziamento della sostituzione dei beni strumentali), della attività d'impresa. Alla luce di quanto esposto ha quasi del miracoloso, per la piccola e media impresa italiana, non solo riuscire ad essere competitivi ma addirittura sopravvivere. E se la piccola e media impresa italiana ci riesce lo deve solo alla propria creatività , al proprio spirito di sacrificio, alla dedizione e passione con cui vuole e sa "fare" impresa. Senza aiuto alcuno né dalla classe politica (inetta ed autoreferenziale), tanto meno da parte di qualche facinoroso giornalista o economista corrotto troppo impegnati ad elargire i propri sermoni dal pulpito mediatico piuttosto che misurarsi empiricamente sul campo. Inviterei chi indica nella piccola e media impresa la problematica più evidente della situazione economica contingente attuale, a provare a "fare impresa" in questo paese: senza sovvenzioni, agevolazioni o sostegno di sorta, sopportando la concorrenza sleale della grande distribuzione e delle multinazionali, con costi dell'energia e dei trasporti ed una pressione fiscale insostenibili. Poi ne riparliamo...