Dalla bella villa romana alle anguste celle di Poggioreale. Questa la nefasta sorte toccata all'ennesimo "disagiato" aiutato dal premier filantropo. Naturalmente lungi dall'essere un cassaintegrato, un precario o un pensionato. Si tratta di Giampaolo Tarantini e consorte, saliti all'onore delle cronache un paio di anni or sono quando si scoprì che con solerzia ed amichevole sollecitudine "procacciavano" delle avvenenti ragazze, tra le quali la ormai celeberrima Patrizia D'Addario,  da portare a Palazzo Grazioli al fine di allietare le malinconiche e solitarie notti del presidente del consiglio. Ricattato, a dire degli inquirenti, per una somma vicina ai 500mila euro per confermare, in sede processuale la tesi di ragazze portate "in amicizia", ossia senza lauto compenso economico giustificativo e del sostegno finanziario ad una famiglia disagiata.
Il provvedimento giudiziario offre l'osceno contesto in cui atterra il testo della manovra economica del governo, un puzzle sconnesso costruito nella farsesca girandola di provvedimenti presentati e ritirati. Non c'è dubbio, siamo «un paese di m...», come dice in una delle intercettazioni telefoniche il presidente del consiglio, a proposito delle note vicende personali. Un paese, ne converrà anche lui, costruito a sua immagine, con gli ingredienti di un potere corrotto e malato. Lo stesso che non esita a tagliare e tassare senza pietà chi, vivendo di lavoro, è ridotto allo stremo mentre, nello stesso momento, organizza il rifornimento, con fiumi di denaro e prebende politiche, di una corte impresentabile e proterva. Sono due facce coerenti della stessa medaglia.
E quelle «manette agli evasori» che adesso vengono sventolate dal ministro Tremonti davanti all'opinione pubblica come «la grande svolta», hanno in realtà l'odore inconfondibile del regime berlusconiano: autoritario e lassista. Manette virtuali e futuri condoni reali nel tentativo (ormai vano) di nascondere il furto ai comuni, a chi vive di stipendio e di pensione. E' la sostanza indigesta di una politica che tiene insieme (per ora) le fameliche famiglie politiche del centrodestra. 
I cittadini pagheranno di più beni e servizi, la scuola e i trasporti e nulla che faccia intravedere nemmeno l'ombra di investimenti e misure per alleviare lo stato comatoso della nostra economia. Le «buffonate» di cui parla il Financial Times, a proposito della manovra italiana (nei contenuti e nelle cifre), sono il frutto avvelenato di una gestione solo elettorale delle misure in discussione al parlamento.
La società civile è stanca di essere rappresentata (si fa per dire) da politici (di destra e di sinistra) che non interpretano più, (o forse non sono mai riusciti a farlo) le aspettative, le aspirazioni ed anche i sogni riposti in un futuro che invece è inesorabilmente più cupo e tetro. Trova, coadiuvata da un sindacato diviso ed inefficace,  il naturale ma evidentemente superfluo sbocco in uno sciopero generale da tenersi il 6 settembre prossimo. Non sembra la panacea che risolve ogni male, tanto meno l'evento dal potere taumaturgico di cui avremmo tanto bisogno.  Ritrovare il senso di appartenenza, l'orgoglio di sentirsi rappresentati, di condividere una azione ed una ideologia, una causa di lotta e di affermazione oltre che la volontà precipua di intraprendere attività finalizzate alla cooperazione tra la politica, le parti sociali, la stessa società civile, le istituzioni al fine del miglioramento della società in cui viviamo. Di questo avremmo bisogno, tutti, se ne fossimo capaci, se ci sentissimo davvero un popolo, se amassimo davvero l'Italia, nonostante tutto,  la nostra patria.