L’italia sempre più nel mirino delle agenzie di rating. Dopo avere modificato in negativo il rating generale del nostro paese, l’agenzia Standard&Poor’s ha declassato sette istituti di credito italiani, tra cui Intesa Sanpaolo e Mediobanca. A pesare sono soprattutto l’instabilità politica e quei 150 miliardi di euro di debito che gli istituti hanno acquistato, senza contare le prospettive economiche sempre più nere sulla crescita italiana dopo le previsioni al ribasso del Fondo monetario internazionale.

I rating a lungo termine di Ca’ de Sass e Piazzetta Cuccia scendono entrambi da A+ ad A. Per altre otto banche, tra le quali Unicredit, l’outlook e’ stato invece rivisto da ‘stabile’ a ‘negativo’.

Abbassato da A+ ad A anche i rating di FindomesticBanca ImiBanca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo e Cassa di Risparmio di Bologna. In tutti e sette i casi il rating di breve termine resta confermato ad ‘A-1′ e l’outlook è negativo. A Bnl è stato ridotto anche il rating di breve termine, da A-1+ ad A-1, mentre il rating di lungo termine passa da AA- ad A+. Anche in questo caso l’outlook è negativo.

Le altre banche per le quali è stato tagliato solo l’outlook sono Istituto per il Credito Sportivo,Banca FideuramAgos-DucatoCariparma e le sussidiarie di Piazza Cordusio Unicredit Bank Ag, Unicredit Bank Austria Age Unicredit Leasing.

Sulla questione del declassamento delle banche e soprattutto sull’incubo default abbiamo ascoltato il parere di  Corrado Passera. “Quello che ho detto recentemente sul default – ha detto Passera – vuol dire che non è probabile, né tanto meno che ce lo aspettiamo. Però dobbiamo sapere, come qualsiasi altro Paese, che quando si mettono insieme alti debiti e bassa crescita, e anche bassa credibilità, ci sono rischi anche di quel tipo”. Per Passera però “è un rischio che possiamo totalmente evitare, è un rischio che l’Italia ha tutti gli strumenti per superare e gestire. Sta a tutti noi classe politica per prima e classe dirigente nel suo complesso, assicurare che l’Italia passi attraverso questa fase in modo piu’ indolore possibile”. Passera, più in generale, ha poi ribadito che il sistema delle banche italiane tiene nonostante la crisi: “Le banche italiane hanno dimostrato di saper tenere – ha affermato – e lo hanno dimostrato nelle due crisi del 2008-2009. Ci siamo preparati anche per questa seconda tornata di crisi: parlo soprattutto per noi, ma penso anche alle altre banche. Abbiamo anticipato gli aumenti di capitale, abbiamo messo da parte riserve di liquidità. E’ la ragione per la quale in Italia il credito non si è mai fermato e l’attivita’ delle banche nel nostro Paese continua a funzionare”. “E’ chiaro – ha aggiunto Passera – che la crisi che abbiamo intorno sui mercati, soprattutto della raccolta a lungo termine, è pesante, però avendo fatto in anticipo una serie di mosse, possiamo garantire la continuita’ dell’attività su tutti fronti”.

E’ invece un Silvio Berlusconi determinatissimo quello che si presenta davanti a Giorgio Napolitano pronto a rispedire al mittente qualsiasi soluzione alternativa che preveda un suo passo indietro e l’addio da palazzo Chigi.
"Io non faccio passi indietro. Ho una maggioranza e chi mi vuole sfiduciare se ne assuma la responsabilità in Parlamento. E se non dovessi avere più i numeri si va alle elezioni." afferma nella sua egoica miopia politica.
Sente di poterselo permettere, raccontano i retroscena, dopo avere parlato ancora una volta con il Senatùr. Con Bossi il premier avrebbe tirato le somme: il governo va avanti, non fino alla fine della legislatura, ma almeno a gennaio. Intanto Berlusconi porterà avanti la sua operazione verità: parlare direttamente con gli elettori per cercare di risalire la china.

Tanto basta per ringalluzzire il premier e superare un confronto teso come quello con il Capo dello Stato, in cui il Cavaliere avrebbe ribadito ancora una volta la volontà a finire la legislatura mettendo mano, già nel Consiglio dei ministri di domani, a quelle misure per la crescita auspicate dal Colle. Napolitano non ha nascosto la sua preoccupazione di fronte alla situazione economica e alla difficoltà, vista la fragilità dell’esecutivo, di far fronte ad un eventuale peggioramento dell’economia italiana. Il capo dello Stato insomma ha messo in chiaro che l’esecutivo può andare avanti solo se garantisce di avere i numeri. Poco prima era toccato a Bossi  spegnere le polemiche sulla tenuta dell’esecutivo. Argomento: il voto per l’arresto di Milanese, il parlamentare del Pdl che proprio ieri si è autosospeso dal partito. “Io voto per non far cadere il governo”. Questa la fine di una giornata di melina e di attesa in vista del verdetto di questa mattina alla Camera. In serata poi, le parole di Bossi prima e la fermezza del premier chiudono i giochi di chi, come Bersani, auspicava che il cavaliere andasse da Napolitano per rimettere il mandato.

Da un lato così Berlusconi resta ostinato sul ponte di comando, dall’altro l’ennesimo possibile sgambetto all’esecutivo rappresentato dal caso Milanese sembra disinnescato: in casa Lega si vota no. O almeno così vuole la versione ufficiale del Senatùr. Versione che dovrebbe, in ipotesi, mettere una pezza allo scivolosissimo voto segreto che potrebbe favorire gli indecisi. Nel frattempo, c’è spazio per il senatùr per confermare che vertice pomeridiano con Silvio Berlusconi è “andato bene”.

Ma la risposta (reale) la dà ancora una volta l’agenzia Standard & Poor’s, che ieri sera ha tagliato il rating di sette banche. Tra queste Banca Intesa e Mediobanca, non certo piccoli istituti. Notizia non confortante che inchioda il quadro economico dopo l’ennesimo tracollo di Piazza Affari e l’aumento dello spread che ha sfiorato di nuovo il tetto dei 400 punti.

E non è finita. Perché mentre il Tesoro conferma il pareggio di bilancio entro il 2013 (cosa peraltro smentita ieri da S&P), Moody’s ha declassato il rating della Fiat. Tutte questioni, quelle economiche, di cui si è discusso al Quirinale. Il Presidente della Repubblica  ha ribadito la propria preoccupazione per la situazione economica del nostro Paese. Ma Napolitano ha ribadito anche la necessità di varare misure che siano il più possibile condivise tra le forze politiche in Parlamento e che siano frutto di “consultazioni ampie”, coinvolgendo anche le parti sociali. Quella “coesione”, più volte sollecitata dal Quirinale, che può consentire al Paese di affrontare e superare la crisi.



Ma esiste un altro rating , più importante, ed è quello del Paese. Il problema in questo caso è certamente il presidente del Consiglio. Berlusconi è stato per molti italiani una speranza di stabilità politica e dinamismo economico. Oggi quella speranza si è dissolta sotto il peso di una micidiale combinazione di promesse non mantenute, incidenti di percorso, scandali, comportamenti indecorosi e sorprendenti imprudenze. Oggi il maggiore problema italiano è la fine dell'era Berlusconi. Tutti, anche i migliori tra i suoi amici, sanno che l'era è finita e che Berlusconi deve uscire di scena. Ma non vi è ancora un accordo sul modo in cui voltare pagina. Qualcuno spera che la mirabolante e tempestosa storia del cavaliere di Arcore termini in un tribunale alla fine di un processo per corruzione, frode o indegnità morale. Altri sperano in un risolutivo messaggio alle Camere del capo dello Stato. Sono due soluzioni che avrebbero uno stesso effetto: quello di provare l'impotenza della democrazia italiana, la sua incapacità di affrontare il problema con gli strumenti propri di un sistema democratico. 
Ciò che davvero mi lascia sconcertato è il fatto che il Cavaliere pur di non ammettere il fallimento del proprio progetto politico e la sua personale sconfitta, soprattutto morale, è disposto a tutto, anche ad assistere impotente alla catastrofica disintegrazione del nostro paese.
Davvero bisogna appellarsi al senso di responsabilità, (se ne hanno un minimo), dei parlamentari della maggioranza, soprattutto i transfughi precedentemente eletti nelle file dell'opposizione: il gioco è finito, game over! Date un voto contro questo governo che nel suo immobilismo e nella sua impotenza ci condanna ad un quotidiano declassamento economico, politico e morale. Prima che lo spettro del nostro fallimento si materializzi inesorabilmente e senza ulteriori appelli.