Giorno nuovo, crisi vecchia. Facciamo il punto. Conviviamo da giorni, settimane, anni con una crisi economica, una situazione recessiva contingente che proprio per il perdurare nel lungo periodo dimostra, se di prova empirica avessimo necessità, che questa è una crisi sistemica, non ciclica.
E' in crisi il modello capitalistico, basato sulla economia di mercato, il mercato autoregolamentato dalle leggi della domanda e dell'offerta, capace di produrre le quantità  necessarie e sufficienti di beni durevoli assorbite dai mercati di sbocco di riferimento. Quasi sempre. Quando i beni vengono prodotti in misura minore alle richieste siamo in fase espansiva, nel caso contrario si presenta una fase recessiva; comunque il mercato si "resetta" autonomamente alternando ciclicamente le fasi di sviluppo e di recessione. 
Nella accezione "keynesiana" la visione si sposta dalla produzione dei beni alla domanda. Si evidenzia come in alcuni casi la domanda aggregata non è in grado di assorbire la totalità della produzione di beni non garantendo così la piena occupazione. E' in questo momento che interviene il settore pubblico per sostenere la domanda, evitando alti livelli di disoccupazione, che in fase recessiva, determinerebbero un ulteriore contrazione della domanda aggregata.
Fino ad un certo punto questo modello sembrava funzionasse. Almeno fino a quando era contrapposto al modello della economia pianificata, collettivista e statalista.
Dopo la caduta del muro di Berlino si apre una nuova fase nella quale gli USA restano l'unica "superpotenza", politica e militare, così da imporre  l'acquisto di debito pubblico americano  per sostenere la crescita basata sull'indebitamento e sull'economia della guerra. 
L'era della globalizzazione successiva, determina l'entrata  di  nuovi competitor che cercano di ritagliarsi un posto al sole sulla scena della economia globale: l'Europa e la Cina.
L'UE forte di un contenuto costo del denaro e utilizzando la BCE per monitorare costantemente i livelli inflazionistici, riesce ad affermare un ruolo di esportatore interpretato principalmente dalla Germania che più di altri paesi riesce ad interpretare la fase congiunturale a proprio vantaggio. Anche la Cina sfruttando gli avanzi della bilancia dei pagamenti, come la Germania, decide di investire nei titoli di debito americano ed il sistema seppur non perfetto sembra portare nuovi equilibri.
Questo fino al 2008 quando la crisi dei sub-prime americani evidenzia una crisi finanziaria dovuta essenzialmente all'esplosione della bolla speculativa immobiliare. 
Evidente, oggi, che non si trattasse solo di una crisi finanziaria, la più grave dal 1929 ad oggi, ma di una crisi sistemica che coinvolge l'economia reale, non solo quella speculativo-finanziaria.
Il sistema capitalistico ha cercato negli anni degli aggiustamenti attraverso le privatizzazioni, cercando misure normative contenitive del costo del lavoro, del welfare, dei diritti volte a non evidenziare la crisi sistemica in atto.
C'è di più: la competizione globale ha accentuato l'accentramento, già in atto, del potere finanziario ed economico nella mani di una "oligarchia d'élite" che ha determinato sempre più numerosi scenari di guerra economico-finanziaria, guerra commerciale e sociale verso le classi meno abbienti e guerra militare espansionistica mirate alla conquista di posizioni privilegiate in zone geografiche ricche delle scarse risorse energetiche necessarie al sostenimento del sistema consumistico-capitalistico-globale.
Da non sottovalutare, poi, le mire espansionistiche dei paesi una volta chiamati "in via di sviluppo", oggi BRICS (Brasile, Russia; India, Cina e Sud Africa).
L'affermazione delle loro economie sorrette da un immenso territorio, ingenti risorse minerarie ed energetiche e da milioni di cittadini residenti lavoratori attivi, ha cambiato radicalmente la struttura e l'assetto della economia globale. Oggi gli USA sono costretti ad innalzare il tetto del debito sovrano e a subire l'onta di un declassamento del rating perché sono consapevoli che l'era della guida mondiale unipolare ad egemonia politica-finanziaria-economica americana è arrivata al capolinea.
Questo scenario ha determinato l'avvento della finanza speculativa  che come un rapace si avventa sui sistemi e paesi economicamente più deboli o gravati dal peso di un debito pubblico enorme.
Sarebbe superficiale però liquidare tutto come crisi finanziaria, questa crisi ha nettamente e crudelmente evidenziato la crisi del modello di accumulazione; ad essere in crisi è l'intero modello capitalista. E, come al solito, a pagarne le spese sono il salario diretto, indiretto e differito, lo smantellamento del welfare, le condizioni lavorative, il benessere diffuso.
Da evidenziare inoltre che già dal 2008, successivamente al crack della Lehman Brothers l'unica soluzione univocamente condivisa è stata la "nazionalizzazione" degli istituti di credito in difficoltà. Forse la via maestra da seguire per uscire dal baratro in cui siamo sprofondati è perseguire una profonda ed efficiente nazionalizzazione e statalizzazione non soltanto del sistema bancario ma di tutti i settori strategici dell'economia quali quello energetico, delle comunicazioni e dei trasporti.
Sarebbe la risposta del "popolo sovrano" alla oligarchia delle multinazionali. Uno Stato realmente democratico è uno stato che garantisce gratuitamente o al minimo costo i servizi essenziali necessari e sufficienti a garantire la conduzione di una vita dignitosa. Uno Stato realmente democratico è uno stato che arriva in soccorso dei meno abbienti, dei più deboli, integrando con misure di sostegno e di sussidio al fine di garantire a tutti una pari opportunità di miglioramento e di ascesa sociale.
Oggi poi nemmeno la politica ha più le risposte. Anzi la Commissione Europea detta all'Italia la "ricetta" anti crisi. Mi chiedo quale sia  l'utilità di un governo, di un parlamento, dell'intera classe politica se la guida è demandata ad un organismo sovranazionale che decide al posto di chi non "ha la capacità politica di decidere".
Oltretutto, l'acquisto sul mercato secondario dei BTP italiani da parte della BCE, ha avuto un duplice risvolto: da un lato ha "ossigenato" le disastrate casse pubbliche italiche dall'altro ha fatto "passare" all'incasso gli speculatori che avevano scommesso sul default italiano, determinando la crisi finanziaria attraverso la speculazione sullo spread dei BTP rispetto ai bund tedeschi. Ossia i responsabili del disastro ne sono i primi beneficiari: evidenti le antinomie di questo modello economico.
Se ci fermiamo un attimo, facciamo il punto su quanto detto, scopriremo le contraddizioni del modello economico capitalistico: un sistema basato sul consumo che non riesce a rimediare autonomamente ai cali strutturali della domanda aggregata, in balia della speculazione finanziaria pesantemente condizionata dalle scelte degli investitori piuttosto che da quelle della politica, che non riesce a garantire il benessere diffuso, divorando ideali, sogni, valori morali, oltre al denaro, la sua vera anima, in nome della crescita del PIL.
Se non capiamo che il valore essenziale dell'uomo e della sua soddisfazione non è insita nei beni materiali, o almeno, non soltanto, non riusciremo mai a "creare benessere".
Abbiamo il dovere morale di costruire un nuovo modello di sviluppo nel quale sia contemplato e valorizzato anche la salute dei nostri figli, la qualità della loro educazione, la gioia dei nostri momenti di svago con loro.
Dobbiamo disegnare un mondo dove sia attribuito il giusto valore alla poesia ed alla musica, dove sia valorizzata l'equità dei tribunali e dei rapporti fra le persone. Abbiamo, oggi, più che mai la necessità di sviluppare un modello dove ogni singolo aspetto della vita umana sia giustamente valorizzato anche se non quantificabile in termini di prodotto interno lordo. Anzi sono forse questi gli aspetti, da troppo tempo dimenticati, che rendono una vita degna di essere vissuta. O la "Borsa" o la "Vita", appunto.