Ci risiamo! la battaglia delle "confederazioni italiche" riparte a "spron battuto", ognuna cercando di limitare al minimo livello indispensabile il proprio apporto "solidaristico" alla causa nazionale per far fronte alla crisi economica. Così nel senato "desertificato" causa "ferie", (nemmeno lo spauracchio del default del paese convince i nostri prodi rappresentanti parlamentari a rinunziare alle giuste e meritate settimane di riposo), si discutono (in 6 minuti primi, nemmeno Usain Bolt avrebbe osato tanto), gli articoli, gli emendamenti, le correzioni alla manovra "ri-chiesta" dalla BCE e presentata dal "gatto Giulio" e dalla volpe "Silvio" nella conferenza stampa pre-ferragostana, prima del legittimo "rompete le righe" corredato dalla fuga meritatissima verso lidi e spiagge di tranquillità e relax.
L'ultima novità sembrerebbe essere la scomparsa del celeberrimo contributo solidaristico, (il famoso 5% per i redditi sopra i 90 mila e il 10% per i redditi sopra i 150 mila). Sembrava strano infatti, per una volta dare la parvenza di essere un paese in cui si persegua la giustizia sociale con una equa redistribuzione del reddito. Ed infatti altrettanto equamente si compensa pensando alla introduzione dell'aumento dell'IVA di un punto percentuale per le aliquote del 10% e del 20%. Schierati a favore confindustria capitanati dalla Marcegaglia che vedono di buon occhio un provvedimento che"scarica" sui consumatori l'onere contributivo alla causa nazionale più oneroso, liberandoli nel contempo di un contributo che li avrebbe indubitabilmente colpiti.
Pagano i soliti noti insomma. In un paese dove tutto il carico è sulle spalle di dipendenti pubblici,privati e pensionati sembrava inverosimile osservare, per una volta, contribuire con propri mezzi finanziari i più abbienti, non solo, ma soprattutto cercando di colpire legittimamente chi, più dei "comuni mortali", (i cittadini della "classe media che fu"), ha responsabilità specifiche nell'aver causato il deficit enorme cui siamo chiamati a far fronte. Insomma si salva "chi detiene", paga "chi dichiara", come è sempre stato in questo sciagurato paese.
A parte i grandi centri della distribuzione commerciale (i quali hanno risorse e mezzi per far fronte ad eventuali variazioni delle aliquote di imposizione indiretta), un aumento dell'IVA colpirebbe i piccoli commercianti, i quali, nonostante siano già schiacciati dalla morsa della "recessione pluriennale" che ha oltremodo contratto le capacità di spesa delle famiglie deprimendo i consumi ed afflitti pure dai laidi e perversi "studi di settore" che, non curanti di crisi, speculazioni, recessioni e quant'altro, chiede ai commercianti di dichiarare ogni anno un quid in più, adesso sembra siano "tartassati" anche dall'aumento della imposta sul valore aggiunto.
Già perché con la situazione recessiva contingente e la concorrenza spietata della grande distribuzione temo saranno proprio i piccoli commercianti a pagare di "tasca propria" quell'1% di IVA in più, pur di mantenere inalterato il prezzo al pubblico e frenare  il crollo del livello dei consumi, dal 2008 costantemente regredito.
Certo Berlusconi ricorderà che la gran parte dei sui successi sono nati da Publitalia e dal bombardamento mediatico degli spot televisivi. Di conseguenza è portato a considerare come sinonimi la crescita dei consumi e lo sviluppo dell'economia. I grandi centri commerciali sono per il Cavaliere, il termometro del capitalismo e sa quanto siano poco frequentati oggi. (ed infatti l'idea del tfr in busta paga altro non è che una pensata per il rilancio dei consumi).
Ma i veri "tartassati" sono proprio i piccoli commercianti; vittime di una lenta moria.
Nelle grandi città, ma anche nelle piccole, (visto che i centri commerciali nascono come funghi e le liberalizzazioni hanno portato solo una "babele" di inesperienza ed inefficienza), gli spazi commerciali sono spesso vuoti o subiscono rotazioni schizofreniche nel giro di mesi, a volte settimane.
Soffocati da una concorrenza spesso sleale portata dalla  grande distribuzione stentano ad affermarsi formule nuove o idee capaci di ritagliare fette significative di mercato. Così il commercio al dettaglio sembra una "specie in via d'estinzione", anche perché non tutelato da specifiche normative atte a favorirne la sopravvivenza. Presto i centri cittadini saranno desertificati dallo svuotamento delle paillettes e dei lustrini delle vetrine sfarzosamente addobbate. Ed un pò sarà anche colpa nostra. 
Certo la parola IVA evoca anche la maggiore densità di evasione. Si parla di 270 miliardi di euro sottratti ogni anno al fisco. Un ammontare destinato pericolosamente a salire per due motivi logici: da un lato l'inasprirsi della pressione fiscale globale inevitabilmente lascia poco ai commercianti. Facendo fronte a tutte gli adempimenti fiscali che annualmente vengono ulteriormente ritoccati verso l'alto, la sopravvivenza diventa obiettivamente davvero una impresa titanica. Dall'altro lato la presenza di intere "porzioni di città" abitate e servite dalle attività commerciali degli extracomunitari a favore esclusivo dei propri connazionali, dona la sensazione che il sommerso tenda a crescere. Esiste infatti una sorta di circuito parallelo a cui ricorrono le comunità straniere più forti e che si nutre di evasione.
Il caso limite è quello dei cinesi, ma non è l'unico. Comunque anche in questo campo il governo non è mai riuscito, negli scorsi anni, ad impostare politiche di respiro volte a combattere le sacche di illegalità ed evasione che si annidano nei grossi quartieri popolari delle nostre città.
Invece con l' aumento dell' Iva si comprimerebbero i consumi e la via dello sviluppo sarebbe ancora più in salita. Inoltre i prezzi aumenterebbero, pesando, oltre che sui commercianti anche  sulle famiglie: con un aumento al 21% ci sarebbe un aggravio di 8-9 miliardi per i consumatori. E quando c' è un rialzo dei prezzi non si sa quando si ferma. Insomma i tartassati siamo sempre e solo noi!