"Tutto precipita", il laconico commento del  sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta nel corso dell’incontro tra governo e parti sociali sulla crisi, tenutosi qualche giorno fa.  Letta avrebbe aggiunto: "sappiamo che servono scelte rapide e coerenti. In questi cinque giorni tutto è cambiato, la realtà è in  rapida evoluzione".
Adesso è ora che questa classe dirigente che ci ha condotto sull'orlo del fallimento se ne assuma la responsabilità politica, ma anche morale e civile. 
E' una emergenza "epocale", parafrasando il premier in sede di presentazione alla stampa della riforma della giustizia così fortemente voluta dal suo governo. Temo che l'unica cosa che rimarrà epocale di questo ennesimo ed inutile governo Berlusconi sarà questa contingenza finanziaria e l'inconcepibile immobilismo del nostro esecutivo di fronte alla urgenza e la celerità che la situazione invece richiederebbe.
E' finito il tempo delle vane promesse e dei comizi mediatici reiterati illimitatamente fino ad ipnotizzare le menti del popolo italiano, tanto da raccogliere un consenso elettorale amplissimo che ha consegnato il paese nelle mani del suo carnefice. 
Oggi però non c'è tempo nemmeno per le recriminazioni, oggi è il tempo delle assunzioni di responsabilità: l'introduzione della tassa patrimoniale significherebbe una redistribuzione del reddito in favore di chi, dipendenti, pensionati, artigiani, piccoli commercianti  in questi anni ha pagato di tasca propria una crisi finanziaria ed economica causata dalla utopistica  deregolamentazione dei mercati liberisti. Permettere alla finanza di impossessarsi, anima e corpo, dello scibile umano e della sua storia, oltre che del benessere, del nostro futuro, determinando crisi politiche, energetiche, sociali, militari è la colpa grave che pesa sulle coscienze di chi, nella "stanza dei bottoni", per incapacità o avidità non ha saputo intervenire regolamentando ad esempio dark pools o vendite allo scoperto, permettendo l'esagerazione dei mutui sub-prime o l'intossicazione da derivati. 
Alla resa dei conti chi ha tratto vantaggio ha le maggiori responsabilità. E' notizia di oggi che tutti i grandi gruppi, approfittando della situazione speculativa in atto e delle quotazioni azionarie particolarmente vantaggiose, si sono lanciate in operazioni di buy-back.
Oggi in Italia il 45% delle risorse finanziarie sono detenute dal 10% della popolazione. In questa ottica va inserita una tassa patrimoniale che permetta una redistribuzione, rilanciando nel contempo consumi e sviluppo.
Va determinata in modo  solidale e intelligente: non vendicativa, ma accettata, addirittura promossa, da chi è destinato ad accollarsela con il senso di responsabilità di una classe dirigente, e la cui durezza sia compensata dall’efficacia e dall’equità. Che abbia un po’ il significato dell’abolizione della scala mobile del ‘92, ma su una fetta di popolazione diversa. Una cosa del genere non è facile ma forse è possibile. Vediamo due conti, a titolo di esempio. Tassare i patrimoni del 20% più ricco, escludendo l’80%, significa riferirsi ad una base imponibile, se si escludono le case, di 2200 miliardi circa (ipotizzando che a questi livelli ricchezza netta e lorda coincidano). Il 10%, esclusi i titoli di Stato, è circa 200 miliardi di minor debito, che in rapporto al Pil tornerebbe vicino al 100%. Non male. Il sacrificio imposto alla parte degli italiani che sta meglio servirebbe a raggiungere un obiettivo che, con finanziarie durissime e senza crescita, richiederebbe ben oltre un decennio.
Un correttivo interessante potrebbe prevedere un vantaggio per quelli che hanno costruito il proprio patrimonio senza evadere il fisco. Basterebbe compensare - per qualche anno e parzialmente - con una detrazione fiscale di qualche punto le “vittime” della patrimoniale che hanno dichiarato e dichiareranno il proprio reddito. In questo modo, la tassa colpirebbe tutta la parte più benestante del Paese, ma al suo interno colpirebbe soprattutto (dipenderà dalla detrazioni) quella che non ha pagato le tasse. Il gioco sarebbe comunque vantaggioso per i conti pubblici: il numero degli italiani che ha dichiarato più di 200 mila euro di reddito annuale (8 volte il reddito medio) non arriva scandalosamente allo 0.2 per cento mentre chi ha una ricchezza superiore di 8 volte alla media è - si può stimare - oltre il 20% circa del totale.
Sfatiamo la falsa convinzione che la patrimoniale contragga consumi ed economia. La macroeconomia soffrirebbe poco (i consumi del 20% più ricco del Paese non sarebbero sostanzialmente incisi), l’80% degli italiani assisterebbe compiaciuto all’evento, e godrebbe come tutti della riduzione degli interessi sul debito pubblico corrispondente alla riduzione dello stesso - circa 8 miliardi l’anno, permanenti - e della recuperata fiducia del mercato finanziario. Questo reagirebbe con favore a un’Italia per una volta esemplare, che riducesse di un colpo il suo debito mostrando il volto di un ceto benestante pensoso degli interessi collettivi, responsabile, e tassato. Varrebbe almeno un punto di riduzione di spread che corrisponde a regime ad altri 20 miliardi. Sono quasi 30 miliardi l’anno di vantaggio, da usare per la crescita e l`occupazione. Senza parlare del beneficio per le imprese e le banche che stanno attingendo a così caro prezzo al mercato internazionale del credito.

Sarebbe davvero il primo vero, concreto passo verso il disegno legittimo  di una società imperniata su principi di equità, solidarietà e giustizia sociale. Naturalmente, non è superfluo aggiungere che usare il condizionale, nella fattispecie specifica,  è d'obbligo.