La domanda giusta non è "stiamo per fallire?", ma "chi non fallirà?", questo il terrificante quesito che dilania le menti degli analisti e non, alla luce dell'incredibile salvataggio dal default operato in extremis da Obama.
Nel giorno in cui il Presidente USA annuncia al mondo, dopo settimane di discussione e confronti dopo ripensamenti e appelli, il raggiungimento dell'accordo sull'innalzamento del debito USA, tiriamo un sospiro di sollievo.
Il Congresso potrebbe votare oggi l'intesa. La prima parte di questo accordo prevede tagli da un miliardo di dollari di spesa per i prossimi 10 anni, tagli che entrambe le parti avevano concordato nella fase iniziale della manovra. Il risultato "porterà la spesa ai minimi da Dwight Eisenhower ma a un livello che ci permette ancora di creare posti di lavoro e di fare investimenti nell'istruzione e nella ricerca." ha detto Obama. Una seconda fase prevede la creazione di una commissione del Congresso, distribuita equamente tra democratici e repubblicani che avrà poi il compito di individuare, entro il mese di novembre, altri tagli.
Certo la "tempesta finanziaria perfetta" preannunciata da tempo per il 2 agosto 2011 sembra scongiurata, manca l'accordo formale,  il via libera del congresso, ma  a questo punto abbiamo il dovere di andare a fondo, confrontarci, capire il motivo per il quale ci siamo trovati ad un passo dal baratro, da quel no "return point" dalle imprevedibili conseguenze sui mercati borsistici mondiali e sulla nostra infelice quotidianità.
Significa che tutti subiamo la situazione recessiva negativa contingente. Ancora non ce rendiamo conto ma questa generazione, la più giovane, è caratterizzata dalla "regola del niente": niente lavoro,  niente reddito, niente risorse. e allora, quale futuro? siamo tutti portati per avidità o "emulazione da status symbol" ad un consumismo estremizzato dalla compulsività ossessiva. 
E' questo che ci spinge ad inseguire come una rappresentazione onirica imprescindibile l'ultimo cellulare o il suv potentissimo, oltre le nostre capacità reddituali, al di là del limite massimo spendibile. 
La moderna economia è stata "drogata" dal debito.  La produzione industriale, assecondata dall'aumento del deficit ha spinto oltremodo le famiglie all'indebitamento. E, quando l'eccessivo sfruttamento della "leva finanziaria" ha prodotto la crisi dei mutui sub-prime, successivamente al fallimento delle prime banche d'affari, come nel domino, in un gioco perverso  si è propagata una onda d'urto inarrestabile che ha investito l'intera economia mondiale; è stata la crisi globale. E la colpa è stata non solo dei banchieri e degli speculatori, ma anche anche dei governi, che attraverso le banche centrali hanno tenuto bassi i tassi d'interesse ed il costo del denaro mirando ad incentivare la produzione e la vendita dei beni di consumo durevoli. Ed insieme ai carrelli pieni di spesa, riempiti nei centri commerciali, compriamo anche il debito. Gli speculatori finanziari tornano a casa con bonus milionari, i banchieri imitandoli spingono la leva finanziaria sempre di più, non rischiando in proprio, ma rischiando le quote dei nostri investimenti, faticosamente accumulati.
E se il rischio eccessivo si trasforma in speculazione e, successivamente, in recessione nessuno ne è responsabile. La crisi come sentiamo dire, viene da lontano. Ed invece non viene affatto da lidi remoti ed inaccessibili mari. La creiamo noi, siamo noi la recessione, il nostro consumismo, la nostra rinuncia al sacrificio, l'inseguimento di modelli e stili di vita sopra le nostre reali possibilità. 
Si arriva all'assurdo che il 40% dei profitti societari delle società americane nel 2010, è rappresentato dai proventi finanziari: significa che i guadagni non derivano dal livello della produttività o dalla innovazione in prodotti che determinano un aumento del benessere diffuso ma soltanto dallo spostamento di risorse finanziarie da un hedge fund ad un altro, determinando il rischio concreto di influenzare negativamente l'economia reale, quella che si sveglia, quella che produce, quella che soffre.
Ma la crisi nasce, anche, come responsabilità politica. E’ stata la politica, soprattutto quella americana, che ha stimolato la crescita del debito negli Stati Uniti, per finanziare una crescita del pil a debito delle famiglie americane fino all’eccesso dei “sub-prime”, per assorbire esigenze di crescita che altrimenti avrebbero posto, anche politicamente, gli Stati Uniti in una posizione di minoranza. Sono gli Stati Uniti che hanno creato questo sistema di crescita del debito drammatico e insostenibile: per tenere in piedi un pil che non cresceva. E la mia tesi è che in origine questo pil non cresceva perché l’Occidente,  Stati Uniti ed Europa, hanno smesso di far figli, e quindi questa crescita-debito drogata, consumistica, è stata creata proprio per compensare la mancanza di vera crescita economica.  
Senza la possibilità reale, come accadeva in passato con le valute dei singoli stati, di una svalutazione monetaria, oggi, con l'euro così forte rispetto al dollaro, è davvero difficile mantenere le esportazioni extra comunitarie ad un livello adeguato. A tutto vantaggio degli "States" che invece ne beneficiano.
Ma al di là degli strumenti di politica finanziaria e monetaria abbiamo bisogno di recuperare i valori essenziali di chi usa questi strumenti.
L'economia e la finanza sono solo strumenti. Il nichilismo degli ultimi 20 anni ha finito per fuorviare l'utilizzo di tali strumenti trasformandoli in "fine" invece che essere un "mezzo".
Il recupero del giusto utilizzo di tali strumenti, il recupero dei valori morali primari al centro della stessa esistenza umana sono il primo reale problema da risolvere. La vera crisi che attraversa il nostro tempo è sì economica, finanziaria, ma prima di tutto è la crisi esistenziale del nostro stare al mondo, del nostro essere uomini, del valore e del rispetto che come essere umani abbiamo il dovere di portarci gli uni con gli altri. Alla base della soluzione delle problematiche internazionali cogenti, sia a livello economico che politico, oltre che militare, c'è il valore dell'uomo come essere umano e del significato del suo stare al mondo. I valori morali essenziali sono alla base di una vita intera, del benessere diffuso, della solidarietà condivisa. Sono la base di una società in direzione dell'uguaglianza di tutti i cittadini sul piano economico e sociale, oltre che giuridico. Perseguire un tale obiettivo va al di là di una qualsiasi quantificazione monetaria, una qualsivoglia speculazione, oltre ogni surplus finanziario.