Chi all'alba del lunedì nero dell 11 luglio scorso aveva previsto che sarebbe stato solo l'inizio della fine, non era certamente un genio. Che gli speculatori non avrebbero mollato la presa, che non sarebbe bastata una manovra da "azzeccagarbugli" condivisa bipartisan a tirarci fuori dal "pantano finanziario", era facilmente prevedibile.
Diciamo che negli scorsi mesi di segnali negativi premonitori di quanto sta accadendo ne abbiamo avuti. Dai dati OCSE che certificavano la bassa crescita, i bassi consumi causa salari più bassi del continente ed il carico fiscale tra i più elevati del mondo, ai dati della BCE e la pressione crescente dei mercati finanziari certificata dall'aumento del famigerato spread, il differenziale del tasso di interesse dei bund tedeschi, aumentato già mesi fa oltre la soglia minima di attenzione.
Ma l'immobilismo del "governo del fare" ci condanna verso una caduta lenta, quasi inesorabile, ora sempre più veloce, quasi certa. L'Italia sull'orlo del crack economico, il governo Berlusconi sull'orlo della crisi politica. Piazza Affari crolla ancora una volta, il premier ai ferri corti con Tremonti oggi va in parlamento. Il Pdl è allo sbando. Napolitano prova a scongiurare la catastrofe e incontra Draghi: «Subito misure per la crescita» Questo l'impietoso quadro che si delineava soltanto ieri.
Oggi la domanda che tutti si pongono è cosa dirà Berlusconi. Io sinceramente faccio appello al suo senso di responsabilità, all'amore che a parole ha sempre dimostrato per l'italia e gli italiani e, stavolta, ci sorprenda tutti, faccia un passo indietro, dimettendosi.
Lasciando un paese peggiore di quello che ha trovato. Infarcito di scandali e mazzette, di tangenti ed "ir-responsabili" uomini di potere ma non di governo. Abbiamo attraversato un deserto negli ultimi tre anni: fra case comprate all'insaputa o pagate 1000 euro in nero a settimana, a posti di responsabilità e guida politica promessi per le eccellenti capacità dimostrate nella fellatio. 
Meretrici al potere e uomini avidi al comando la sintesi della orgia funesta che ha abbattuto il nostro senso di moralità istituzionale dello stato e spostato oltre ogni limite la soglia di tollerabilità del popolo italiano, esponendoci alla ilarità del mondo prima, al rischio default poi, causa la rapacità con cui gli speculatori della finanza globalizzata riescono ad amplificare ed approfittare di problemi inerenti una instabilità politica, una difficoltà finanziaria o un deficit strutturale enorme difficile da compensare attraverso la crescita.
Oggi mi aspetto che il Presidente Berlusconi in Parlamento pensi allo spettacolo indecoroso cui abbiamo assistito  negli ultimi tre anni e che ci hanno portato, al di là di ogni possibile immaginazione, ad un passo dal default, il fallimento economico-finanziario del nostro paese. Ma è un fallimento di noi tutti, come popolo italiano.  Del nostro vivere cercando sempre una seconda via, più agevole, meno impervia. Senza fronteggiare il problema, senza avere la capacità programmatica risolutiva che ci porti a crescere, superando un ostacolo, affrontandone uno immediatamente successivo. Invece ci sentiamo invincibili, sempre migliori, più bravi, più furbi. Sia chiaro Berlusconi ha delle responsabilità rilevanti. Se pensiamo a Zapatero vediamo la dignità di un uomo che riconoscendo il proprio fallire si mette da parte, non ricandidandosi anzi accelera, forzando i tempi verso le elezioni (che sicuramente perderà), per amore del suo paese. Il nostro primo ministro si è in questi anni occupato solo e soltanto dei propri problemi giudiziari e non è da "strillone bolscevico" affermarlo oggi, ma certamente la realtà che abbiamo da affrontare e le sovrastrutture politiche che l'hanno determinata non sono certo colpa soltanto di Berlusconi.
Diciamo che una manovra "lacrime e sangue", con tagli lineari e senza investimenti che favoriscano la crescita è inconfutabilmente insufficiente, se non addirittura dannosa. Tanto è vero che si parla, a meno di 2 settimane dalla sua approvazione, di una manovra finanziaria-bis. E' anche vero che in una situazione di forte recessione tagliare lo sviluppo, la ricerca, la crescita era l'unica cosa da "non" fare. La domanda che tutti gli operatori finanziari si son posti è stata infatti:"Come farà l'Italia a ripagare un debito eufemisticamente enorme, con un tasso di crescita del PIL prossimo allo zero?". La risposta ovviamente è stata l'aumento dello spread sui BTP ossia, il debito strutturale italiano è insostenibile. Il governo avrebbe dovuto invece trovare, magari anche cercando un compromesso, una tregua con l'opposizione, (facendo ovviamente anche delle concessioni), un accordo che permettesse l'adozione di provvedimenti strutturali e risolutivi che potessero ridare la fiducia ai mercati, evitando la speculazione e permettendo la crescita del PIL oltre la misura dell'interesse sul debito. (Obama docet). 
Tutto ciò non è avvenuto, ma sicuramente sarebbe riduttivo ed improprio addossare ogni responsabilità al premier. Ogni italiano che ama il proprio paese, oggi si faccia un esame di coscienza, troverà sicuramente nell'arco  del proprio vissuto una situazione in cui ha pensato all'interesse proprio, personale, individuale danneggiando quello della intera collettività: Quello che sistematicamente opposizione di governo, parti sociali, elettorato attivo avverso rimproverano a Berlusconi. Ma se ci guardiamo nel cuore scopriremo che tutti abbiamo delle responsabilità di questo fallimento. Oggi non è fallito solo Berlusconi, oggi siamo falliti tutti, popolo italiano.
Sicuro è anche che la politica, soprattutto in un momento di forte attrito sociale come quello attuale e di fronte ad una eventuale presa di coscienza e responsabilità da parte del premier, non può permettersi di rispondere con un black out lungo 40 giorni. Ci sono momenti di difficoltà in cui tutti ci rendiamo conto che non è il momento per "andare in vacanza". Lo facciano per primi i nostri politici di fronte alla catastrofica situazione contingente che si delinea all'orizzonte e che ci piomberà addosso.
Se, come mi auguro, Berlusconi oggi si dimetterà, domani, all'alba del giorno dopo il default, rimbocchiamoci le maniche per costruire una Italia migliore, per crescere individualmente certo, ma anche e soprattutto come popolo. Ne abbiamo davvero bisogno.