Londra brucia. Immagini attraversano i miei occhi, scavano nel cuore, suscitano timore, scovano un disagio forse represso. Incredulo vedo quei quartieri di Londra arrabbiati, incendiati, distrutti. Vedo visi tumefatti dall'odio, volti sfigurati dalla rabbia, occhi incendiati dal rancore, cuori impauriti dal dolore.
Mi chiedo dove i tranquilli residenti di Tottenham, quartiere residenziale multietnico trovino il coraggio per affrontare e convivere quotidianamente con l'inferno della rivolta. Come si possa condividere l'asilo nido di un figlio con la rabbia sociale urlata nelle vene.
E la luce soffusa del crepuscolo è solo la quiete apparente prima che una nuova battaglia inizi, al calare delle tenebre. Tonight the riots begins, again....
«Vivo proprio di fronte al centro commerciale di Haringey  e ho potuto vedere piuttosto bene cosa stava succedendo», scrive Karen, una ragazza che ha offerto la propria testimonianza al Guardian. «Erano più o meno in trenta ed era chiaro che fossero un gruppo di ragazzi che stavano approfittando della confusione generale e anche se nessuno si è fatto male, è stata una scena terrificante».
Nella notte tra domenica e lunedì le rivolte non solo si sono espanse dalla zona nord di Tottenham alle zone limitrofe di Haringey, Enfield, Wood Green e Walthamstow, ma hanno oltreppasato il Tamigi, esplodendo anche a Brixton, dove vive una consistente parte della comunità africana a Londra. Ieri pomeriggio il quartiere di Hackney è stato teatro di nuovi scontri: gruppi di giovani hanno assalito poliziotti e negozi, danneggiando le vetrine di diversi locali. I manifestanti hanno scagliato bidoni dell'immondizia e carrelli del supermercato contro gli agenti, che in tenuta antisommossa hanno risposto caricando i giovani che cercavano di circondare una zona intorno alla stazione di Hackney Central.

Che la degenerazione seguita alla veglia per l'omicidio di Mark Duggan sia più il risultato di una situazione di per sé degradata che ha preso il sopravvento sulla protesta pacifica è fuori discussione, ma le parole del deputato Labour per la circoscrizione David Lammy, fanno pensare a una situazione di più generale frustrazione per l'operato delle forze dell'ordine.
«Sono scioccato e profondamente preoccupato per quello che è successo a Mark Duggan», aveva detto giovedì Lammy. «C'è una forte ansia ora nella comunità che esige risposte. È incoraggiante che la Ipcc abbia aperto un'inchiesta».
Ma ai manifestanti non è bastato e anche l'opinione pubblica si chiede se non siano troppe le volte in cui la Met Police ha toppato senza pagarne le conseguenze. Mark Duggan è infatti la terza vittima in sei anni.
Nel 2005, sulla scia dell'attentato terroristico del 7 luglio, un commando di poliziotti ha ucciso con sette colpi alla testa Jean Charles de Menezes, l'elettricista brasiliano scambiato per uno dei possibili attentatori. Nel 2009, durante le manifestazioni contro il G20, Ian Tomlinson, un edicolante di 47 anni, è morto per un attacco di cuore dopo essere stato strattonato, respinto e buttato a terra da un poliziotto che gli aveva impedito di tornare a casa dal lavoro. Il responsabile della polizia durante i disordini Adrian Hanstock ha però difeso l'operato delle sue squadre dicendo che non ci sono stati segnali che la violenza fosse sul punto di esplodere.

Ma chi sono i giovani, a volte giovanissimi, che scelgono la violenza invece di cercare interlocutori istituzionali che diano risposte ai loro disagi? La povertà, la disoccupazione e i tagli al welfare sono le ragioni di fondo e servono soprattutto a spiegare l’indignazione generale che è stato il terreno su cui i rivoltosi si sono mossi con facilità.
Si sentono emarginati dalla società consumistica. La stessa che li ha formati imponendo modelli e stili di vita da imitare e format mentali da perseguire.
I media, il bombardamento pubblicitario, i format televisivi sempre più estremi hanno generato una generazione di "mostri": modelli negativi da imitare, ad ogni costo, oltre ogni limite.
E non è un caso se i sociologi intervistati dalla stampa inglese li descrivono rabbiosi contro l'esclusione dalla società del consumo, vista ora come l’unica strada possibile verso la felicità. Molti giovani di Tottenham ed Enfield, hanno spiegato gli esperti, non sono interessati a un percorso scolastico e formativo, ma vogliono appropriarsi dello stile di vita dei rapper o degli sportivi statunitensi; vogliono le loro auto, le loro piscine e una dozzina di modelle intorno. A volte lo spaccio di droga è una scelta, in quanto comoda e redditizia, e non una necessità.
Il vero problema è che questa generazione è emarginata, senza futuro, senza prospettive.  Oltretutto le crisi economiche impongono sempre maggiori tagli al welfare: così chiudono i centri di aggregazione, si tagliano le borse di studio, si eliminano i sussidi per l'affitto delle case. 
Il timore è che il riverbero che la crisi economica finanziaria dell'epoca post-capitalistica possa avere sia una rivolta sociale difficile da contenere, non giustificabile ma sicuramente comprensibile.