Penso al sindacato. Vengono in mente le donne dell'8 Marzo 1908, quando le operaie dell'industria tessile Cotton di New York, scioperarono per protestare contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero si protrasse per alcuni giorni, ma l'8 marzo il proprietario Mr. Johnson, bloccò tutte le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire. 
Scoppiò un incendio e le 129 operaie prigioniere all'interno morirono arse dalle fiamme.

Viene in mente la lotta che il movimento operaio condusse per la rivendicazioni di condizioni lavorative migliori ed un riconoscimento salariale adeguato alla qualità e quantità del lavoro prestato, sfociato in quello statuto dei lavoratori, legge 300 del 20 maggio 1970  recante "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento", che è una delle norme principali del diritto del lavoro italiano. La sua introduzione provocò importanti e notevoli modifiche sia sul piano delle condizioni di lavoro che su quello dei rapporti fra i datori di lavoro, i lavoratori e le loro rappresentanze sindacali; ad oggi di fatto costituisce, a seguito di minori integrazioni e modifiche, l'ossatura e la base di molte previsioni ordinamentali in materia di diritto del lavoro in Italia.
Cosa è rimasto di quella forza, di quello spirito di giustizia ed eguaglianza sociale che animava il movimento ed essenzialmente i rappresentanti stessi degli operai?
Dolorosamente nulla o poco più. Gli accordi di Pomigliano, di Termini Imerese, di Mirafiori sottoscritti con la Fiat, ma anche l'incapacità di difendere i lavoratori di Alitalia sono solo gli esempi più evidenti di una cronica incapacità  di difesa essenziale della contrattualità del lavoratore e dei suoi diritti. Per non parlare della Tyssen, delle migliaia di morti bianche che quotidianamente riempono le pagine di cronaca nera, per esser dimenticati, il giorno dopo il funerale.
E' ora che il sindacato, tutti (CGIL, CISL, UIL, ma anche FIOM) riprendano a "sporcarsi le mani", tornando in prima linea per la difesa e tutela del lavoratore e delle condizioni lavorative, ruolo incastonato nel significato etimologico della parola sindacato.
Guardo al sindacato italiano oggi, trovo sia immemore della sua principale funzione che è quella di tutelare l'integrità, innanzitutto fisica, del lavoratore. C'è  una  quota non indifferente di responsabilità, per ogni morte bianca, accanto alla mancanza di controlli e alle colpe delle imprese che spesso non si curano della sicurezza in nome del profitto. 
Ma c'è correità anche più grave nell'appoggio dato all'operato di un governo che di fatto agisce contro il mondo del lavoro, con una serie di provvedimenti che hanno distrutto le fondamenta del welfare nel nostro Paese.
In tutte le contrattazioni sindacali chiuse dal 2008 ad oggi si è irresponsabilmente lasciato ai contratti aziendali la possibilità di indicare regole per aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi modificando il contratto nazionale.
Mi viene da chiedere quale sia il ruolo del sindacato oggi e quale il significato del contratto nazionale di lavoro, visto che può essere derogato per esigenze anche minime in ragione di una maggiore competitività e produttività delle attività lavorative. Ed in questo modo si agisce scientemente una duplice sperequazione sociale: soltanto le grandi aziende, ossia quelle con indice di profittabilità più elevato e maggiore forza contrattuale sul mercato e verso i lavoratori, hanno la possibilità di rinegoziare con le singole sigle sindacali i contratti collettivi. Le PMI invece, cardine del tessuto industriale italiano e che hanno una notevole incidenza per l'apporto che danno al PIL italiano, sono costrette ad utilizzare gli strumenti di contrattazione collettiva che spesso risultano poco favorevoli alle esigenze di elasticità che il mercato del lavoro oggi richiede.
Sempre più oggi le associazioni sindacali assomigliano a dei "carrozzoni inefficienti e costosi" che risucchiano denaro pubblico vomitando indietro clientelismi e favori, ma non garantendo minimamente la difesa della giustizia sociale e della equità, valori fondanti del sindacato moderno. 
La Camusso, Angeletti e Bonanni sembra siano prigionieri degli interessi imprenditoriali e debbano fare necessariamente cose che ne consentano la realizzazione degli obiettivi strategici individuati dal Governo e dalla Confindustria. E, l'accordo di riunificazione siglato dai sindacati qualche giorno fa, non fa altro che avvalorare la tesi che tutte le sigle sindacali siano (dopo cisl e uil anche la cgil quindi) ormai ostaggio dell'operato di questo governo.
Così come le tre scimmiette, i tre segretari generali delle più conosciute sigle sindacali italiane partecipano con un miope collaborazionismo alle infruttuose manovre di un governo "ombra" che nel  caso portassero frutti, li porterebbero  soltanto avvelenati o marci. Venti milioni di lavoratori stanno male e guadagnano la metà di quello che guadagnano i francesi o i tedeschi. Sei milioni di questi sono precari e con salari sotto i seicento euro. Bassi salari ed assenza di diritti sono tutt'altro che patriottici e affossano assieme ai lavoratori il Paese.
Eppure i sindacati non vedono e se vedono, tacciono, con buona pace della giustizia sociale e delle lotte operate in tutto il mondo da un secolo a questa parte.