Facciamo il punto della situazione dopo un paio di anni dalla lungimirante operazione CAI fortemente voluta dal Presidente Berlusconi e dalla allegra cordata di imprenditori amici, tra conti ufficiali e stime, abbiamo perso oltre 7 miliardi di euro! Facile , no? Prevedibile, anche!
Tutto ciò a dire del sempre più lungimirante Presidente del Consiglio pur di non lasciare l’Alitalia “in mano straniera”, e salvaguardare la "compagnia di bandiera" ed il livello occupazionale cercando nel contempo di “rilanciare” la compagnia aerea italiana su cui aveva avanzato una proposta di acquisto Air France, la quale nella propria onestissima proposta aveva messo in conto l'enorme passivo a bilancio e gli esuberi di personale, prevedendo piani programmatici atti al risanamento e al ripristino di una forte competitività aziendale a livello europeo e mondiale.
La cordata ha fondato la Cai (Compagnia aerea italiana) ma con un bell’aiuto da parte del governo che ha scorporato la vecchia Alitalia in una “bad company” "che si è accollata tutti i debiti" e in una “new company”, con quanto di buono era rimasto. In più ha accordato alla Cai un consistente piano di armottizzatori sociali, mandando in cassa integrazione 5.500 lavoratori, di cui pochissimi sono stati finora riassorbiti e per tutti gli altri si apre il baratro della disoccupazione, alla faccia della salvaguardia dei livelli occupazionali, reddituali e dei diritti concordati con i sindacati nella estenuante trattativa che abbiamo tutti seguito attraverso i media. Oltretutto, grazie ad un decreto ad hoc è stato possibile formare nuovi assistenti di volo e assumerli con contratti svantaggiosi a paragone di quelli che firmava Alitalia. In tutta questa – lunga e complessa – storia va annoverato un altro vincitore: l’imprenditore Carlo Toto che ha venduto la sua Airone.

Bene, tutto questo è costato 7 miliardi di euro. Soldi sborsati dagli italiani, attraverso le tasse. Ora, dicono i lavoratori di Alitalia, è arrivato il momento di chiedere il conto. Stamattina gli avvocati Francesca Scoppetta e Davide Romano hanno illustrato alla stampa il progetto di una class action contro la pubblica amministrazione a cui potranno partecipare i contribuenti che si sentono “beffati” dal modo in cui è stata gestita l’operazione Alitalia. L’idea della class action è dell’associazione Anelta, gli ex lavoratori dell'aviazione civile, che saranno parte attiva della class action. “Presenteremo la diffida al Tar ad ottobre, e c’è tempo per unirsi, rivolgendosi all’associazione, fino a settembre”, spiega Scoppetta.

Ma in realtà gli “step” dell’azione collettiva prevedono anche un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo e alla Corte di giustizia europea. Se dovessero esserci dei risarcimenti, questi verrebbero distribuiti a tutti i partecipanti alla class action. Certo, l’importo per sostenere l’azione non è piccolo, circa mille euro a persona, ma grande è la questione che si va ad affrontare. Sia dal punto di vista economico che giuridico. “Nel ricorso affronteremo sia l’aspetto economico della mancanza di trasparenza nella vendita di Alitalia che l’aspetto giuridico, poiché vi è stata grande disinvoltura nell’applicazione del diritto: certamente nella tutela del lavoro, ma anche nella gestione della vendita”.

Un esempio per tutti: la Cai ha applicato la discontinuità aziendale quando si è trattato di applicare i nuovi contratti ai lavoratori. Ma ha fatto valere la continuità di servizio quando si è trattato di ottenere dall’Enac il certificato aeronautico. Quello di Alitalia è stato tarsferito in brevissimo tempo a Cai. Ma allora, è la stessa azienda o no? “La vicenda di Alitalia rappresenta un paradigma – dice Guido Gazzoli, autore del libro “Aerei di carta” proprio sull’operazione della ex compagnia aerea italiana – le logiche applicate ai lavoratori, considerati non una risorsa ma un ‘materiale umano’ da contendersi al minor prezzo sono quelli che oggi Fiat vorrebbe imporre nella sua newco”. Fili da riallacciare, anche cominciando dai tribunali.