Nell'ultimo anno si è fatta strada nella testa delle gente comune l'idea che l'euro possa essere abbandonato. Perfino autorevoli economisti hanno espresso questa opinione. Tra i paesi virtuosi come la Germania le ragioni a favore di un abbandono dell'euro hanno profonde radici emotive nell'opinione pubblica che hanno forte memoria storica dell'iperinflazione degli anni 20-30 e considera la moneta forte ed il rigore di bilancio valori assoluti.
Ecco perché i governi, segnatamente la Germania, sono meno propensi ad intervenire in favore dei paesi meno virtuosi. La filosofia tedesca è che ciascuno abbia il dovere di tenere i conti pubblici in ordine e, se non vi riesce, pagarne direttamente le responsabilità.
L'ipotesi di un abbandono dell'euro non ha motivazioni soltanto politiche bensì anche economiche. I paesi europei con un elevato debito pubblico (come l'Italia), risentono della necessità di continui interventi di austerity e di politiche fiscali aggressive, ma le restrizioni fiscali da sole non bastano.
Al contrario una rigorosa politica fiscale può addirittura accentuare le criticità cogenti in quanto in fase recessiva le entrate fiscali diminuiscono, aumenta l'utilizzo degli ammortizzatori sociali e conseguentemente il deficit pubblico.
In altri tempi, in presenza della necessità di severi aggiustamenti fiscali si utilizzava lo strumento della svalutazione della valuta, come fece anche l'Italia nei primi anni '90, per favorire le esportazioni. L'aumento della domanda estera serviva per compensare la caduta della domanda interna dovuta alla manovra fiscale, non determinando ripercussioni negative sulla crescita del Prodotto Interno Lordo.
L'utilizzo della svalutazione monetaria, oggi, non è più possibile e per le Economie deboli dell'Euro zona  l'unico modo  per mantenere inalterata la crescita economica è il recupero della competitività attraverso la riduzione dei costi fissi.
Nella situazione attuale però, per i paesi con grosse difficoltà come la Grecia, l'Irlanda, il Portogallo, ma anche Spagna ed Italia ciò significherebbe riduzione dei costi nell'ordine del 30% e, specificatamente, nel contenimento della spesa rientrerebbero anche salari e stipendi.
Risulta utopico ma anche controproducente tale manovra finanziaria (soprattutto perché il conseguente calo della domanda aggregata sarebbe un indice fuori controllo per qualsivoglia economia), per questo gli economisti ed i ministri delle finanze dei  paesi deboli stanno studiando un recupero della flessibilità del cambio nominale uscendo dall'euro.
Fino a qualche anno fa sembrava impossibile che alcuni paesi potessero uscire dall'euro ora sembra possibile, ma non probabile, in quanto la terapia potrebbe essere peggiore del male.
Uscire dall'Euro è tecnicamente quasi irrealizzabile, in quanto la prospettiva di uscita dalla moneta unica genererebbe una fuga dai depositi di enormi proporzioni verso le economie più solide mettendo a repentaglio la stabilità del sistema bancario.
Per evitare ciò, i governi sarebbero costretti, attraverso l'adozione di misure amministrative restrittive, a limitare i prelievi, i depositi e i movimento di capitale. Questo ostacolerebbe il commercio con l'estero limitando ancor di più la crescita del PIL.
Il drenaggio di liquidità costringerebbe inoltre le banche a ridurre il credito, con ulteriori effetti depressivi sull'economia.
Ma anche per i paesi cosiddetti virtuosi vi sarebbero conseguenze non auspicabili: l'afflusso di ingenti capitali dall'estero determinerebbe un aumento dell'inflazione ed un apprezzamento del cambio della valuta con ripercussioni negative sulle esportazioni.
Inoltre consideriamo che il 78% del debito pubblico dei paesi in grave difficoltà, i cosiddetti PIGS, è detenuto da investitori stranieri.
Le banche tedesche da sole detengono oltre 150 miliardi di euro del debito della sola Irlanda.
L'uscita dall'euro delle economie deboli implicherebbe una svalutazione degli investimenti dei paesi più forti ed aumenterebbe il rischio di dissesto delle loro banche.
Neanche il governo più "euro scettico" può correre il rischio di affrontare uno scenario simile.