Scrutiamo la fisionomia –pare chirurgicamente modificata- di Anders Behring Breivik, nella vana speranza di decifrare in quale misteriosa simpatia quel corpo si relazioni alla sua anima. Ha sterminato per un’ora e mezza di fila i ragazzi del campeggio di Utoya, conquistandosi una posizione di rilievo nella storia dei crimini europei.
Sbagliereste però, a considerarlo un inedito. Esattamente settanta anni fa, nell’estate del 1941, quando Hitler scatenò l’”Operazione Barbarossa” rompendo il patto di non belligeranza con Stalin e invadendo l’Unione Sovietica, l’esercito del Terzo Reich si era dotato di speciali Einsatzgruppen con l’incarico di effettuare le fucilazioni di massa nei territori man mano occupati.
Tanti biondi e allucinati Breivik, non solo tedeschi ma pure ucraini, lituani e di altre nazionalità, quasi tutti volontari, ammassavano i deportati di fronte alle fosse comuni e cominciavano a sparare all’impazzata. Non ha stabilito alcun record, Breivik, massacrando un centinaio di ragazzi disarmati, agendo indisturbato in novanta minuti. I cronometristi della pulizia etnica nazionalsocialista valutarono che un commando di mitragliatori, lavorando di buona lena, poteva eliminare fino a diecimila “sottouomini” al giorno. Inventarono le camere a gas perché diecimila ammazzati al giorno non erano abbastanza, bisognava smaltirne di più, e con migliore igiene, affinché risultasse tutelata la purezza della razza (ariana, nordica, o altro), che stava tanto a cuore anche a Breivik.
Non s’inventa proprio nulla, nel campionario del terrore. Sabato scorso, all’indomani dell’attentato di Oslo e della strage sull’isola di Utoya, i giornali della destra italiana titolavano col riflesso automatico sulla probabile matrice islamica. Dagli intelligentoni de “Il Foglio” ai più caciaroni di “Libero”, si trattava per loro di applicare uno schema manicheo nel quale credono da dieci anni: da una parte c’è la civiltà occidentale, giudaico-cristiana e perciò democratica; dall’altra c’è l’islam per sua natura assoggettato al terrorismo.
E’ dall’11 settembre 2001 che ragionano così. Prima di quella data fatidica i nostri provincialotti non avevano neanche sentito nominare Osama Bin Laden.
La mite Norvegia, violata da un sedicente “fondamentalista cristiano” per il quale nessuno evocherà responsabilità oggettive della Chiesa (così come l’ebraismo non fu messo sotto processo nel 1994 quando Baruch Goldstein assassinò col mitra ventinove musulmani in preghiera nella Tomba dei Patriarchi di Hebron), chiude tristemente il cerchio decennale di follia scatenato da Mohammed Atta nel cielo di New York.
Tra gli apocalittici, fanatici pretesi difensori della nostra civiltà, dopo quel fatidico 11 settembre, si ritrovano i cattivi maestri di Anders Behring Breivik. Penso al deputato europeo, eletto qui in Italia, che dopo l’arresto del criminale di guerra serbo Ratklo Mladic, gli manifestò simpatia definendolo “un vero patriota”, condividendone l’ossessione anti-islamica. Io ho deciso di non invitarlo mai più alla mia trasmissione, ma in troppi ci ridono su.
L’Europa si ritrova a fare i conti con un terrorismo di destra generato dalle sue viscere. Dall’idea malata, ma sempre rinascente, che “sangue e suolo” nobilitino la nostra irriducibile e preziosa diversità. Alla vigilia della Prima guerra mondiale, viceversa, un intellettuale profetico come Karl Kraus spiegò bene che “sangue e suolo, insieme, fanno solo venire il tetano”.


Gad Lerner