Allen Sinai, uno dei più prestigiosi guru di New York 
lancia l'allarme! Economista della scuola di Milton Friedman alla Northwestern University di Chicago, è stato chief economist della Shearson Lehman negli anni '70, poi consulente della Federal Reserve, quindi di due presidenti americani in stile bipartisan, Bush padre e Clinton. Oggi presiede la Decision Economics, thinktank che offre le sue consulenze a governi, corporation, imprenditori e finanzieri. "Dimenticate la crisi dei subprime, perchè non avete ancora visto nulla!", la secca quanto drammatica dichiarazione.

Anzitutto, è giusto angosciarsi? Forse, no. Un'autorevole rubrica del Financial Times, dal titolo Lex, sostiene che gli investitori internazionali, in questi giorni di "attacco" all'Italia, siano stati doppiopesisti, ignorando volutamente altre situazioni più gravi. Il riferimento non è alla Grecia, alla Spagna o al Portogallo, ma a una nazione notoriamente ai margini del quadro internazionale quali gli Stati Unitid'America. Là il rischio di un debito insostenibile sarebbe superiore al nostro, eppure il timore è tutto per l'Italia. Come al solito, la verità ha molte facce e passarle tutte in rassegna richiede troppo spazio. Proviamo a tranciare un giudizio: l'America è messa peggio, ma stanno trovando un accordo per affrontare la situazione; l'Italia è messa meglio, ma di accordo per ora non si parla. Il contesto, insomma, è liquido, e l'acqua può assumere qualsiasi forma. Proviamo a indovinarne qualcuna.
Ieri in Borsa si nuotava in apnea, oggi si respira. Ma si tornerà sott'acqua e in debito d'ossigeno. E' l'opinione di un ventaglio di note banche d'affari, secondo cui l'Italia è un boccone da spolpare troppo succulento perché gli investitori vi rinuncino. Ciò farà crescere lo spread sui rendimenti dei Bpt, creando problemi all'Italia sul mercato obbligazionario. In altre parole: se provo a vendere un titolo di Stato con un rendimento troppo alto, non ci riesco. Secondo una delle suddette banche, Morgan Stanley, chi sta comprando ora quei titoli non sono tanto gli speculatori, ma anche solide istituzioni quali la Banca Centrale Europea, in un tentativo di dare all'Italia dei fondi per finanziare il proprio debito. Ma la Bce non è un ente assistenziale, e nemmeno lo sono altri investitori istituzionali poco inclini ad assumersi un rischio caro agli speculatori. Insomma, le aste in cui periodicamente si vendono i titoli pubblici sarebbero deserte.
Diretta conseguenza di quanto sopra, sarebbe il default cioè il fallimento dello Stato, l'ammissione di non essere in grado di onorare il nostro debito. Usando una locuzione spesso praticata, "saremmo come l'Argentina" (che fallì alla fine degli anni Novanta). Usciremmo dall'Euro, che potrebbe addirittura non sopravvivere alla perdita della terza economia - per valore - del suo sistema monetario.
Poiché l'Europa non vuole il ritorno alle valute nazionali, la logica dà per certo un suo sicuro intervento nel sostenere l'Italia. Che però, sotto tutela degli organismi comunitari, non conterebbe più nulla sulla scena politica internazionale.
E' un quadro descritto dall'economista americano Allen Sinai, secondo cui in un anno si capirà il destino della moneta unica. Sinai sostiene che l'Italia non debba che approvare la manovra correttiva proposta dal governo per ripianare il debito da qui al 2014. Ma anche ciò potrebbe non bastare, perché è l'intero contesto continentale a essere in crisi. Nella sua visione, Grecia, Portogallo e Irlanda saranno costrette ad abbandonare l'Euro; Italia e Spagna sono a rischio, ma potrebbero avere le forze di conservarlo.
Al piano economico del Governo, si muove una grossa critica: concentrare il massimo degli sforzi di ripianamento nel 2013 e nel 2014: rispettivamente, gli anni in cui si voterà e, se gli esiti delle ultime amministrative e dei referendum saranno confermati, ci sarà un esecutivo di colore diverso dall'attuale. Vorrà quel governo attuare una politica economica rigorosissima e non decisa da lui? Non sarebbe meglio anticipare i sacrifici a questi ultimi due anni di legislatura? Anticipando il rigore, soprattutto per quanto riguarda i tagli alle amministrazioni improduttive, insufficienti per quasi tutti gli analisti , si darebbe un segnale forte ai mercati. E l'Euro non finirebbe sotto attacco in un momento cruciale come quello elettorale.

Il ritorno anticipato alle urne sarebbe una ipotesi da considerare ma assolutamente rischiosa. Se la coesione nazionale invocata anche dal presidente Napolitano sulla manovra dovesse mancare in Parlamento il governo viene battuto su un testo in cui è espressa una linea pluriennale di politica economica, e dà le dimissioni. Si vota, e il nuovo governo (presumibilmente sarà in carica il centro-sinistra) porta una ventata di novità apprezzata dai mercati. Auspicabile. Ma, considerate le volte in cui l'esecutivo è stato battuto in uno dei due rami del Parlamento; considerate quelle in cui il premier ha ribadito di non voler dimettersi; considerato che l'opposizione è lungi dal proporre una coalizione e un programma di governo definiti e chiari; considerato che l'attacco in Borsa è davvero potente, e subirlo con un cambio della guardia al comando potrebbe significare un suicidio con esiti non facilmente prevedibili.


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