Il mandante degli attacchi finanziari che stanno colpendo l'Italia è la finanza ombra che ha letteralmente stravolto il sistema economico mondiale e che rischia di produrre danni incalcolabili. Ogni giorno le cronache registrano il ruolo della speculazione nell’andamento altalenante sia dell’indice di Piazza Affari sia dei prezzi dei titoli obbligazionari dai quali dipende il famoso spread, cioè la differenza dell’interesse pagato sui titoli di Stato decennali italiani rispetto a quelli della Germania. La volatilità, cioè l’incredibile altalena che porta le borse a crescere di due punti percentuali per perderne il giorno dopo due o tre, trae origine diretta dalle piattaforme di contrattazione lanciate dalle grandi banche e operanti nel segmento Over the counter, cioè completamente non regolamentato.

Per capire di che cosa stiamo parlando basta qualche dato: durante il lunedì nero dell’11 luglio ad esempio, sul Chi-X (mercato parallelo gestito dalla banca d’affari giapponese Nomura) per il titolo Intesa SanPaolo sono passati di mano oltre 80 milioni di pezzi, rispetto ai 300 circa di piazza Affari (quasi il 30% di quanto scambiato dal titolo in Borsa Italiana); aggregando anche altre piattaforme alternative (in gergo chiamate MTF) come Bats e Turquoise, il valore si avvicina al 50%. Per Unicredit la quota scambiata sui mercati alternativi è risultata nella giornata di lunedì prossima al 25% di quanto fatto in Borsa. In gergo queste piattaforme sono chiamate “dark pools” (pozze scure): si tratta di borse alternative dove si possono negoziare grandi quantitativi di azioni senza che nessuno riesca a vedere i prezzi intermedi della contrattazione. Si vede solo il prezzo finale, quando i giochi sono fatti. E qui la speculazione, soprattutto quella ribassista, impazza con effetti incontrollabili.

L’associazione che raggruppa gli operatori specializzati in questo settore (Isda, International Swaps and Derivatives Association) si sta battendo contro qualsiasi nuova normativa che possa frenare il boom di attività su queste piattaforme che oltre che opache sono il terreno di caccia dell’high frequency trading, l’uccelliera dove il cacciatore spara raffiche di palline utilizzando sistemi informatizzati basati su astrusi algoritmi con l’obiettivo di comprare e vendere decine di milioni di pezzi di un titolo per la durata di un battito di ciglia per realizzare utili giganteschi.



Le dark pools hanno cominciato a proliferare in Europa dal 2007, dopo l’approvazione della normativa europea sui mercati finanziari Mifid che abolisce l’obbligo di concentrazione delle negoziazioni nei mercati regolamentati ed introduce nuovi sistemi di scambio. I cosiddetti Alternative Trading Systems o ATS (il nome ufficiale delle dark pools), che dovrebbero garantire la “best execution”, l’esecuzione delle negoziazioni alle migliori condizioni possibili per i clienti. Uno dei principi cardine della Mifid.

In pratica, se prima ci si rivolgeva a una banca per comprare 20mila azioni di Eni, la banca le poteva negoziare solo ai prezzi stabiliti dalla Borsa Italiana. Ora lo può fare anche passando per una borsa alternativa, che offre la possibilità di spuntare prezzi migliori. “Le dark pools hanno aumentato la concorrenza e l’efficienza delle operazioni finanziarie”, ha dichiarato recentemente la banca d’investimenti Goldman Sachs. “Ne hanno tratto vantaggio in particolare i piccoli investitori. Oggi comprare e vendere azioni costa meno, soprattutto per loro”. Tutto bene allora?

Non proprio. Anche perché le borse alternative possono facilitare la manipolazione dei prezzi e la speculazione. Lontano da occhi indiscreti. Uno dei primi a lanciare l’allarme è stato il finanziere americano Thomas Caldwell. “La proliferazione delle nuove borse private aumenta il rischio che i prezzi siano manipolati”, ha dichiarato Caldwell al Reuters Exchanges and Trading Summit già nel 2008. “Le banche che comprano e vendono azioni nelle dark pools possono avere informazioni privilegiate sui prezzi. Se non saranno regolamentate, la frammentazione dei mercati e l’internalizzazione degli scambi potranno diventare gli ingredienti di un nuovo grande scandalo finanziario”.

Sì, perché gli ATS oltre a spezzettare il mercato azionario permettono alle banche di internalizzare gli scambi, costruendosi borse su misura in casa. E’ quello che è successo, per esempio, con la piattaforma Turquoise, una dark pool creata nel 2007 da un consorzio di nove banche tra cui Citigroup, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Morgan Stanley e UBS. Il gotha della finanza mondiale. Attraverso Turquoise, che oggi è controllata dal London Stock Exchange (la borsa di Londra), passa poco meno del 3 per cento degli scambi sul MIB 30 (principale indice della borsa italiana), oltre il 9 per cento dell’FTSE100 (l’indice che comprende le 100 società più capitalizzate della borsa di Londra) e circa il 6 per cento del DAX (l’indice di riferimento della borsa tedesca).

Le stesse banche che hanno lanciato Turquoise sono anche azioniste della borsa alternativa Chi-X Europe. Chi-X, che è la più grande tra le borse alternative, tratta il 17,14 per cento degli scambi sulle imprese del MIB 40 italiano e il 24,62 per cento dell’indice FTSE 250 di Londra. “Nel primo semestre 2011 il volume di titoli scambiati su Chi-X Europe è salito a 860,9 miliardi di euro, con un aumento del 16 per cento rispetto al secondo semestre del 2010”, ha comunicato Chi-X in una nota diffusa il 19 luglio. “Ci confermiamo al secondo posto tra le borse europee come volume di scambi e al primo posto come numero di contrattazioni”.

Le contrattazioni di Chi-X Europe avvengono in buona parte alla luce del sole. Per gli ordini “al buio” ci si può rivolgere però a Chi-Delta, lanciata da Chi-X nel maggio del 2009. Nel primo semestre del 2011 sono passate per Chi-Delta 4,2 milioni di contrattazioni (+24% rispetto al secondo semestre del 2010) per un totale di 39,1 miliardi di euro. In base alle statistiche di Thomson Reuters, Chi-Delta è il maggiore libro d’ordini “al buio” in Europa.

La crescita inarrestabile delle dark pools non è un segnale confortante per la stabilità dei mercati azionari e tanto meno per il piccolo mercato borsistico italiano. I titoli azionari delle banche italiane sono sotto attacco da parte delle dark pools già dalla fine di giugno. Venerdì 8 e lunedì 11 luglio, i due giorni orribili dell’attacco speculativo al nostro paese, Unicredit Intesa Sanpaolo erano ai primi posti nei libri d’ordini di Turquoise e Sigma-X (la dark pool di Goldman Sachs). Se non si introdurranno presto nuove regole, la speculazione sul nostro paese (e sulle altre borse europee) continuerà ad avvenire al buio, nelle “pozze scure” della finanza controllate dalle banche. Dove i fondi hedge e i grandi investitori internazionali continueranno ad agire indisturbati, pronti ad approfittare della prossima scintilla per far scoppiare di nuovo la corsa alla vendita di titoli e la successiva rincorsa del governo, con il solito corredo di promesse, manovre e tagli per “rassicurare i mercati”.



Tutto ciò ha permesso lo sviluppo di una mega ed incontrollata speculazione finanziaria che ha avuto origine, guarda caso la coincidenza, con l'avvento delle dark pool e della compravendita azionaria non controllata e non preventivamente regolamentata.


Se a ciò aggiungiamo la fragilità politica e sistemica dell'Europa unita soltanto da una moneta condivisa ma in realtà divisa politicamente, economicamente, finanziariamente e sociologicamente, il quadro che si delinea è completo.
Ed infatti gli attacchi speculativi degli ultimi anni nascono a suo tempo dall’abbandono del loro campo proprio da parte dei politici del continente  (di destra e di sinistra), a favore delle volontà dei mercati, delle banche, delle agenzie di rating.  E, proseguono con l’incapacità e la scarsa voglia della classe politica attuale di portare avanti un progetto di sviluppo complessivo e solidale del continente; tale indecisione contribuisce poi ad alimentare la crisi stessa, favorendo la speculazione. Intanto chi può, come la Germania, – che dovrebbe guidare il processo di rinnovamento del continente –, cerca invece di portare avanti una strategia alternativa, in direzione dello sviluppo dei legami con i paesi emergenti e in particolare con la Cina e la Russia.
E' pacifico che, questa crisi, non potrà che finire, prima o poi, o con l’uscita dall’euro dei paesi del Sud Europa, o con l’avvio deciso dell’Europa verso una unificazione economica e politica sostanziale.
E a nulla serve o servirà il piano di salvataggio varato nei giorni scorsi. Anzi al contrario sembra del tutto inadeguato rispetto alle scelte sulle questioni di fondo. Tra l’altro, il documento pretende di risolvere la crisi greca ma aspettiamoci, dopo i primi due, anche un terzo e forse un quarto pacchetto per salvare il paese ellenico. Con l’accordo, il rapporto debito/pil scenderà infatti per il paese dal 170% al 130%, che appare certamente ancora troppo elevato. La crisi, peraltro, non è ormai tanto quella della Grecia, o anche del Portogallo e dell’Irlanda, ma essa ha al centro l’Italia e la Spagna, paesi di ben altre dimensioni. Così, gli investitori esteri posseggono, grosso modo, solo per quanto riguarda il nostro paese, titoli pubblici per circa 800 miliardi di euro, di cui quasi i tre quarti sono nelle mani delle banche francesi e tedesche. Altro che esposizione verso la Grecia! In questo senso, la dotazione del fondo salva- stati (Efsf) appare nettamente inadeguata al compito.
Forse l'errore di fondo è stato trattare il problema della Grecia come un semplice problema di liquidità mentre si tratta invece di una crisi di solvibilità, di difficoltà strutturali legate al fatto che il paese non riuscirà mai a ripagare il suo enorme debito ed è destinata quindi all’insolvenza.
Le cause di tali problemi strutturali, comuni peraltro anche al nostro paese, sono certo legate da una parte alla dissennata politica di spesa pubblica perseguita in passato dalla Grecia come dall’Italia, ma anche e soprattutto, dall’altra, al fatto che l’economia di tali paesi non cresce più da tempo; in particolare, essi, insieme a Portogallo, Spagna, Francia, non sopportano un cambio dell’euro a 1,4 e oltre con il dollaro. Naturalmente pesa poi fortemente, in Europa come negli Stati uniti, in direzione di un alto livello di debito pubblico, lo sconquasso portato dalla crisi, sia in termini di maggiori uscite per sostenere l’economia che di minori entrate fiscali.
La mancata crescita dei paesi del Sud Europa è legata poi a molti fattori, non ultimo quello relativo al fatto che dal momento dell’ingresso nell’euro tali paesi non sono più stati in grado di svalutare la loro moneta per far fronte alla loro scarsa competitività. 

Intanto, combattere la speculazione sui titoli europei appare “tecnicamente” una cosa relativamente semplice. Dal momento che con l’accordo di Bruxelles il potere di acquistare titoli pubblici sul mercato è stato nella sostanza trasferito dalla Bce al fondo salva stati, “basterebbe” dotare tale fondo di risorse adeguate alla bisogna. Attualmente a esso sono stati attribuiti 450 miliardi di euro, che bastano però a malapena a difendere Grecia, Portogallo e Irlanda, non certo l’Italia e la Spagna. Allora bisognerebbe portare la dotazione, come ha calcolato qualcuno, intorno ai 2.000 miliardi di euro e la speculazione si ritirerebbe in buon ordine per qualche anno. Naturalmente qui la difficoltà è di ordine politico: si tratterebbe di convincere i governi del Nord Europa (cioè quelli dei paesi più forti) e il loro elettorato.
Ma a questo punto resterebbe ancora il lavoro più impegnativo, quello di ridurre il peso dell’indebitamento, di aumentare i tassi di crescita dell’economia dei paesi del Sud, di governare infine il sistema finanziario.

Al riparo dalla speculazione, si potrebbe organizzare la necessaria “ristrutturazione” del debito dei paesi deboli facendo contribuire finalmente sul serio anche le banche alla cosa, dopo che esse hanno prestato irresponsabilmente somme astronomiche alla Grecia. Basta finalmente con il “socialismo delle banche”, con la consueta privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite. Tra l’altro, i grandi istituti andrebbero adeguatamente capitalizzati. Ma la ristrutturazione risolverebbe il problema solo temporaneamente, se non si attivassero anche delle azioni per arrivare a una convergenza competitiva delle varie economie. Per altro verso, la stessa manovra di ristrutturazione potrebbe essere tanto meno pesante e impegnativa, quanto più avanzasse il progetto di unione economica e politica del continente, con un piano “Marshall” di rilevanti proporzioni – finanziato magari con i tanto discussi eurobond, che a questo punto non servirebbero tanto per ristrutturare il debito, ma per fini di sviluppo –, finalizzato a rendere l’economia dei paesi del Sud più competitiva. Anche in questo caso far digerire la cosa ai paesi del nord appare comunque un esercizio difficile e di lunga lena. Ma bisognerebbe comunque provare.
Bisogna ridimensionare e controllare la finanza, anche per restituire un po’ di potere agli stati e alla politica. Vanno poi sottolineate le proposte di lotta contro i paradisi fiscali, per la tassazione delle transazioni finanziarie, il controllo stretto del sistema bancario ombra, e in particolare degli hedge fund, maestri della speculazione, nonché per i prodotti derivati – tra i quali i famigerati cds –, la proibizione delle vendite allo scoperto sui mercati di borsa, la separazione tra attività di banca ordinaria e di banca di investimento, con la correlata attività di speculazione in proprio, del controllo specifico delle banche più grandi, il governo – infine - delle agenzie di rating.
Sicuramente avrenno qualche cinico speculatore finanziario in meno ed una stabilità ritrovata dei sistemi finanziari e del circuito bancario, anticamera di una migliore qualità delle nostre stesse vite.