Nel 2001 a Genova, io c'ero.  Esattamente 10 anni fa. Giovane, un pò insicuro ma determinato a lottare per una idea di libertà, di giustizia, di equità sociale. Non per me, non per l'Italia, ma per il mondo intero! Utopico, forse, ma a dieci anni di distanza, guardandomi alle spalle, ripensando al modello di sviluppo che avevamo in mente e che urlavamo al cielo terso ed afoso di quella Genova insanguinata, mi dico che avevamo ragione.
In questi anni abbiamo visto il crollo delle Torri Gemelle e al di là delle teorie complottistiche di cui è "infarcito" il web una ragione di fondo, causa di tanto dolore, c'è: la sperequazione sociale ontologica che caratterizza il mondo ed un modello di sviluppo concepito per remunerare i capitali sempre, il lavoro mai. Lo sfruttamento sistematico delle risorse e delle economie più deboli in favore delle multinazionali e dei mercati globalizzati. 
Se ci pensiamo, in fondo, la nostra fortuna risiede semplicemente nel fatto di esser nati "dalla parte giusta" del mondo; pensiamo chi saremmo oggi se fossimo nati in Birmania, in Congo, in Sudan o ad Haiti. Sono del parere che ad ogni azione corrisponda sempre una reazione uguale e contraria: non giustifico gli atti terroristici ma accuso la diplomazia internazionale di non essersi spesa affinché le ragioni della "parte povera" del mondo avessero una voce, un ascolto. 
Sono convinto che abbiamo il preciso dovere di spendere le nostre forze, le nostre energie, la nostra intelligenza per essere la servizio dell'uomo, del suo benessere, della sua felicità. Sono convinto che seppur difficile, intricato, complicato il mondo di oggi possa esser cambiato, modificato, trasformato spendendoci gli uni per gli altri recuperando quei valori morali che sembrerebbero apparentemente persi, risucchiati dalla ferocia dell'uomo e della sua storia.
E allora a 10 anni dai fatti noti di Genova, del g8, della morte di un ragazzo, Carlo Giuliani e dopo 10 anni di speculazioni finanziarie, di bolle immobiliari, di mutui sub prime, di recessioni economiche, con milioni di posti di lavoro persi, banche fallite, miliardi bruciati quotidianamente dalle perdite in borsa, 10 anni in cui abbiamo perso il sorriso e la speranza di guardare al futuro con gli occhi sereni e puri dei nostri figli abbiamo il dovere di dichiarare il fallimento, non solo in italia, di una classe dirigente, di un modello di sviluppo imposto e mai scelto, di politici farneticanti e di multinazionali avide. Abbiamo il dovere di rimboccarci le maniche e di costruire insieme la nostra storia. Dobbiamo reinterpretare la libertà di ciascun individuo convogliandola in un modello di sviluppo economico che non abbia sperequazioni sociali, sfruttamento del lavoratore alla ricerca del bieco profitto economico. Il lavoro del singolo, nel contesto globale per migliorare la qualità e l'aspettativa di vita di tutti.
Un modello realmente democratico che abbia come riferimento uno sviluppo in cui la realizzazione della giustizia sociale sia la base di crescita primaria e fondamentale. 
Abbiamo il dovere di scardinare le lobbies di potere, le multinazionali, le corporazioni che sono delle vere macchine di potere e di clientela, dimentichi  delle problematiche concernenti la vita , dei problemi della società e della gente. Gestiscono interessi sempre più spesso collusi con le organizzazioni criminogene senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni emergenti, senza perseguire il bene comune.
Tutto supportato da un consumismo  continuo, ossessivo, compulsivo predicato dai mezzi di comunicazione che spinge le popolazioni alla creazione di bisogni e status symbol sempre nuovi, anche se inutili, nella logica di una produzione industriale che non può arrestarsi, una "macchina infernale" costretta ad un moto perpetuo, al di là della saturazione dei mercati, a costo dello spreco inesorabile delle risorse, oltre i reali bisogni umani. Tutto ciò perché il capitale ed il sistema economico ad esso collegato da sempre è devoto ad un unico Dio: il profitto.
E tutto ciò a patto però che alle crisi economiche e finanziarie susseguenti alle scelleratezze manageriali, alla "deregulation", alla libera concorrenza ed al sistema globalizzato,  siano chiamati a pagare coloro che non hanno potere decisionale alcuno: i cittadini.
E' ora di prendere coscienza che questo sistema è FALLITO. Dobbiamo CAMBIARE i rapporti di forza, rovesciare il potere sommerso, quell'intricato intreccio di lobby economiche-finanziarie-poli​tiche che piegano i nostri sogni di giustizia sociale alle fredde leggi del mercato capitalistico globalizzato. 
Impariamo a ragionare in termini di benefici acquisiti e non di prezzo o guadagno: la qualità della vita di ciascuno di noi, dei nostri figli, delle future generazioni, val bene, parafrasando Bob Kennedy, 1 punto di PIL in meno.

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